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 2014  aprile 02 Mercoledì calendario

LETTA PROFESSORE A PARIGI “INSEGNO A SCIENCES-PO MA NON SONO UN ESULE”


L’uscita dalla crisi per Italia e Francia dipenderà dalle «buone decisioni che sapranno prendere i governi nazionali», dice Enrico Letta, ma soprattutto «dalle buone decisioni che saprà prendere l’Europa». Incontriamo l’ex premier italiano nel piccolo ufficio che temporaneamente gli è stato assegnato a Saint-Germain-des-Prés, a Sciences-Po dove oggi pomeriggio si toglierà l’abito del politico per indossare quello del professore. Un ciclo di lezioni su «Europa, crescita e populismi» tra aprile e maggio. È un tema che gli è caro. Avrebbe voluto affrontarlo da presidente di turno dell’Unione europea nel secondo semestre di quest’anno. Dovrà limitarsi a seguirlo da analista. Ma in quella sottolineatura sulle «buone decisioni» che toccano all’Europa lascia il suo graffio politico.
Sciences-Po (L’Institut d’Etudes politiques de Paris) insieme all’Ena e all’Ecole Polytechnique è una delle grandi scuole dove si forma la classe dirigente francese, ma non soltanto, perché ormai gli studenti per il 40 per cento sono stranieri. Letta è stato invitato dal direttore Frédéric Mion in quanto europeista riconosciuto in questo istituto, uno dei centri più all’avanguardia nella riflessione sui populismi. Ha l’aria rilassata, non porta cravatta, è la prima volta che accetta di parlare con un giornale italiano dopo aver lasciato Palazzo Chigi.
Confessa di essersi fatto assorbire nei weekend dalla vita parigina con moglie e figli. È andato al cinema dopo molti mesi, ha visto «Diplomatie» di Volker Schlöndorff, è stato con i figli al Parc des Princes per assistere a una partita del Psg, il Paris Saint-Germain, dove da ex milanista, ha rimpianto ancora una volta Ibrahimovic: «Un giocatore eccezionale capace di calamitare su di sé l’attenzione di tutto lo stadio».
Non sembra un esule: «Non lo sono affatto, ormai con i low cost Roma-Parigi è come Roma-Torino, in mezzo alla settimana sono a Roma in Parlamento o per seminari come quello alla Civiltà Cattolica sull’Europa nei prossimi giorni, continuo la mia attività di parlamentare. Ma son contento di rinnovare il mio legame con la Francia». Da bambino ha vissuto a Strasburgo, ricorda con dolcezza l’Alsazia, erano anni pre-Schengen e anche solo per attraversare il fiume e andare in Germania bisognava riempire moduli e mostrare i documenti: «E’ formativo vivere vicino al confine».
Perché il populismo? «Al centro del dibattito in Europa in questo momento c’è il tema del populismo. Riguarda molti paesi, ma Francia, Italia e Gran Bretagna sono i più colpiti». Un fenomeno «alimentato e ingigantito» da una diffusa condizione di disagio. «Sono qui anche per capire – dice Letta – e mettere a fuoco la questione populista nel confronto con gli studenti dai quali spero di poter imparare molto».
In Italia, ci dice l’ex premier, i giovani costituiscono la quota più forte dell’elettorato del Movimento Cinque Stelle, mentre i partiti tradizionali faticano con i giovanissimi. «Grillo e Marine Le Pen non sono la stessa cosa», dice, ma entrambi raccolgono un disagio comune e un voto contro le istituzioni. I sistemi elettorali diversi tra Italia e Francia fanno sì che Grillo abbia molti deputati, la signora Le Pen, soltanto due. Ma le municipali francesi dello scorso weekend hanno fatto emergere una dimensione nuova e consistente del Front National: «Marine Le Pen ha rinnovato i contenuti del discorso politico di suo padre Jean-Marie. L’impatto sul voto europeo di maggio potrà essere significativo come pure in Gran Bretagna l’Ukip di Nigel Farage che vuol portare il Regno Unito fuori dall’Unione europea». Un forte voto a favore di questi partiti potrebbe avere un impatto altrettanto forte delle politiche europee.
Ma perché la politica italiana non si è accorta del boom del movimento di Grillo? Letta confessa: «Non l’abbiamo percepito, è stato un fenomeno inedito. Pensi che il 5 per cento degli elettori ha deciso di votare per i Cinque stelle solo negli ultimi giorni. I sondaggi lo davano al 20, hanno preso il 25 per cento e questo ha sconvolto l’equilibrio politico». La legittimità delle istituzioni, delle classi dirigenti, delle istituzioni politiche è al livello di guardia. I sondaggi danno ancora i grillini molto in alto. Che si può fare? «Un’Europa più semplice in grado di dimostrare meglio che cosa ha fatto di positivo per gli europei. Ma soprattutto deve tornare la crescita, altrimenti avremo un grosso problema e rischiamo la catastrofe».
Dove, come, quando l’Europa ha sbagliato nel rapporto con i cittadini? «Quando i due più grandi successi - la moneta unica e il superamento dei confini - si sono trasformati in fonte di malessere». Vediamo. I confini? «Potersi spostare liberamente da un paese all’altro per vivere e per lavorare è un enorme successo, ma l’immigrazione è mal percepita, viene associata alla criminalità e ha generato paura». E la moneta? «Nei primi anni, prima della crisi quando c’era prosperità, è stata un grande successo; poi la curva della disoccupazione ha cominciato a salire insieme all’insofferenza per l’euro».
Il 25 maggio si vota per il Parlamento europeo e si ha la sensazione che per la prima volta al centro di queste elezioni ci sia davvero l’Europa, non solo il riflesso delle battaglie politiche nazionali. L’Europa è in gioco: da una parte gli europeisti, dall’altra gli anti-europeisti. «Questo sarà il vero spartiacque: si dovranno valutare le percentuali delle forze ostili all’Europa e valutare il peso degli astensionisti. Anche loro saranno decisivi e noi dovremo porci questa domanda chiave: cosa pensa dell’Europa un elettore che non va a votare?».
E saranno decisi anche gli eletti e cioè il tipo di personale politico che arriverà nell’aula di Strasburgo. Nelle liste si trovano spesso personaggi singolari, ci saranno gli specialisti della comunicazione, non mancheranno i demagoghi, si spera anche in qualche politico responsabile capace di non nascondere la verità agli elettori, soprattutto se spiacevole. «Certo – dice Letta – queste elezioni sono veramente un passaggio cruciale e abbiamo bisogno di capire che tipo di politica ci aspetta per il futuro e quali saranno davvero le relazioni tra cittadini ed eletti».
Enrico Letta dà l’impressione di essere un uomo in piena riflessione, cosa rara per un politico. Studia, medita, trepida per il suo Pd e come un medico ascolta il battito del cuore dell’Europa. Prima di lasciarlo non possiamo non chiedergli come valuta le prime mosse di Matteo Renzi, ma su questo punto non concede nemmeno una battuta: «Sono in Francia, non parlo di politica italiana». È la scusa abituale con cui i politici francesi sfuggono alle domande sulla Francia quando sono all’estero. Ma è una buona scusa.