Alberto Statera, la Repubblica 2/4/2014, 2 aprile 2014
ADDIO ALLA CITTÀ-BANCA E AL GROVIGLIO ARMONIOSO SIENA PREPARA IL DOPO-MPS
QUENTIN Tarantino è atteso da un giorno all’altro nella conchiglia di piazza del Campo. Starebbe già leggendo il libriccino tradotto in inglese “Stradario massonico di Siena”, dovuto alla penna del neo Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, il senese Stefano Bisi. Tra i vicoli dedicati ai tanti massoni che hanno avuto i natali in città e le terre rosse delle campagne sceglierà le location per il suo nuovo film sulla Città-Banca, o forse più propriamente la Banca-Città. Protagonista, naturalmente, l’ex presidente del Monte dei Paschi, Giuseppe Mussari. Pesce d’aprile? O leggenda metropolitana nata in una città ferita nel profondo della voragine apertasi sotto il castellare di Rocca Salimbeni, dove ha sede il Babbo-Banca, e sotto palazzo Sansedoni, indirizzo della Mamma-Fondazione?
Mussari, in effetti, ha le caratteristiche di un personaggio dell’autore di “Django”: presenza scenica alla Alain Delon, storia avvincente dalla polvere agli altari e giù di nuovo nella polvere, perizia — per di più — da prode cavallerizzo. Se poi non sarà Tarantino, la città potrà di sicuro consolarsi con Oscar Farinetti, che vuole aprire “Eataly-Siena”. E questo non è un pesce d’aprile. La location già scelta dovrebbe essere Palazzo Squarcialupi, in piazza Duomo. Di banche si è rischiato di morire e di mostre non si campa, dice il sindaco Bruno Valentini, entusiasta per lo sbarco di Farinetti: «Ben venga Eataly, che sarebbe anche un link naturale al contesto espositivo». Mentre la candidatura a Capitale della cultura 2019 appare alquanto esile.
La città “acchiocciolata”, come la definì Guido Piovene, dopo anni di lutto ora vuole smettere di piangere morti e feriti e si consola strologando sulla salvezza della Mamma-Fondazione, che sembra proprio cosa fatta. «Voi vedé — dicono in Campo guardando in su verso palazzo Sansedoni — che bonini bonini l’abbiamo sfangata?» Si, perché la Banca da secoli ha dato lavoro a ogni famiglia senese, avendo nel Seicento potere di vita e di morte sui suoi dipendenti e anche sui clienti. Ma la Fondazione ha garantito gli “sfizi”. Con una benefica pioggerella che bagnava tutti, in una “bolla” umida di benessere. Si invocava una sorta di presunta diversità culturale, che nascondeva in realtà i peccati di un sistema fondato sul cosiddetto “groviglio armonioso”: politica e banca, chiesa e massoneria, ex comunisti e berlusconiani. Un blocco di potere e di intrallazzi che ha portato sull’orlo di fallimento la Banca, ma anche la Fondazione, che in un decennio ha distribuito “armoniosamente” qualcosa come un miliardo ed era al fallimento, oberata di 400 milioni di debiti.
«Maremmani, Dio ne scampi i cani», si sentiva imprecare quando in città giunse la grossetana Antonella Mansi, giovane vicepresidente della Confindustria mandata alla missione impossibile senese come presidente della Fondazione. La lettura fu che si costituiva un nuovo blocco di potere catto-confindustriale alternativo a quello post-comunista- catto-massonico. Dopo mesi di scontri epici con due calibri da novanta come Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, che la Fondazione volevano sopprimerla anticipando l’aumento di capitale nel gennaio scorso, la maremmana è adesso guardata con un po’ meno di sufficienza. E i due banchieri d’alta gamma hanno perso invece un po’ del loro prestigio, con un certo sbertucciamento da parte di una ragazza di Grosseto che le banche le aveva viste fino a qualche mese fa solo come correntista o debitrice.
Certo, la Fondazione non è più il cuore della senesità pura, con la vendita di un altro 6,5 per cento della Banca ai fondi Fintech e Btg Pactual, che riduce al 5,5 il capitale di Mps in suo possesso, quota che scenderà ancora al 2,5 con l’aumento di capitale. Ma il debito è coperto e rimane un tesoretto di 300 milioni per partecipare all’aumento di capitale e diversificare gli investimenti. Il fallimento, che tre o quattro mesi fa sembrava inevitabile, almeno è scongiurato.
«Diversificare» è la parola d’ordine per la sopravvivenza. Non più solo banca nella Città-Banca. Ma come diversificare rispetto al “lusso” insostenibile di una banca? «Vedremo», risponde Mansi, che ci nega ogni scambio d’amorosi sensi con Matteo Renzi, pur nel comune culto della rottamazione: «Lui — dice solidale — ha crostini ben peggiori dei miei». Per tornare ad avere i dividendi della Banca ci vorranno anni. «E noi — ha detto ieri Mansi a Repubblica— non possiamo stare senza mangiare fino al 2018». Se non, forse, con gli exploit alimentari senesi di Farinetti. Ma solo alimentari, perché le “diversificazioni” per vivere saranno di natura puramente finanziaria.
La maremmana vorrebbe rilanciare presto le “erogazioni”, ma si può scommettere che è finita la benefica epoca alluvionale, che arricchiva l’humus senese come le sponde del Nilo. Lacrimeranno inconsolabili in tanti: l’Accademia dei Fisiocratici come l’Associazione Basketball Generation, il Circolo degli Uniti come la Fondazione Siena Jazz o l’Associazione Amici miei, probabilmente ispirata al Tognazzi della Supercazzola. Non potrà più acquistare calzature, bandiere e e armature medievali l’Associazione dei Cavalieri di Santa Fina di San Gimignano e perderanno i finanziamenti senesi anche la Fondazione Notte della Taranta di Melpignano (Puglia) e — su questo ci contiamo — la Fondazione Ravello (Campania) dell’onorevole Renato Brunetta, che colà possiede una villa. Forse se ne faranno una ragione. Diversificare, poi forse ricominceranno le “erogazioni”, come pudicamente le definisce la Mansi, magari senza troppi riguardi ai potenti di turno.
I nuovi soci forti del Monte dei Paschi di Siena attraverso la Fondazione, vengono dal Sudamerica e questo ha suscitato qualche interrogativo nelle informatissime osterie senesi sull’intrecciarsi di fili tra il Monte dei Paschi con quelli che portano a Telecom. I due cavalieri bianchi “forestieri” arrivati in soccorso della Fondazione hanno avuto a che fare con Telecom, ancora partecipata da Intesa, Mediobanca, Generali e Telefonica. Fintech si è addirittura comprata per quasi un miliardo di dollari la quota di Telecom Italia in Telecom Argentina. Ciò che induce Il Sole-2-4Orea chiedersi se il capitalismo di relazione italico, che si riteneva ormai boccheggiante salvo la sua difesa a oltranza del presidente di Intesa Giovanni Bazoli, non abbia in realtà allargato i confini verso il continente sudamericano. Se vogliamo poi coltivare le dietrologie, che a Siena sono pane quotidiano, David Martinez Guzman, il messicano che con la Fintech sbarca in Fondazione specializzato in asset distressed, sarebbe un legionario di Cristo, uno di quei cattolici integralisti che qualche problema creano in Vaticano anche col sudamericano Papa Francesco. Ma a Siena, figurarsi, nulla fa scandalo nell’incrociarsi dei poteri.
Stasera nel circuito toponomastico che va da Giovanni Amendola a Silvio Gigli, da Goffredo Mameli a Artemio Franchi, da Camillo Benso di Cavour a Luciano Bianchi, ex sindaco ed ex presidente del Monte dei Paschi di Siena campione della “ convergenza dei poteri”, tutti uniti nella fede massonica, lo sberleffo sembra vietato. Quando entra nella sala della Residenza per anziani Villa Rubini Manenti, il sindaco Valentini respira: «Avete visto? La Fondazione è riuscita a vendere un altro pacchetto azionario. L’avevo detto io che era contendibile e che era un grosso affare». Ma il caro modello della Città-Banca o Banca-Città è perso ormai nella notte dei secoli.
a. statera@ repubblica. it