Maurizio Ricci, la Repubblica 2/4/2014, 2 aprile 2014
AUSTERITÀ, CARBONE E METANO NORVEGESE ECCO COME VIVREMO SENZA GAZPROM
L’INCHIESTA
NON è gratis e può anche voler dire stare in casa con il maglione il prossimo inverno. Ma, se l’Europa vuole, può fare una pernacchia a Putin e ai suoi gasdotti, ucraini e no, cavandosela senza catastrofi. L’impatto economico di una rinuncia della Ue al metano di Gazprom, secondo gli esperti, «sarebbe significativamente inferiore a quello dell’austerità degli anni ‘70 — sono le parole di Georg Zachmann per il think tank Bruegel — e il colpo per la Russia sarebbe invece assai più severo». Non tutti sono d’accordo: l’Oxford Institute for Energy Studies, ad esempio, ritiene un divorzio dal gas di Putin più problematico. I conti sembrano, tuttavia, indicare che il gas alternativo in larga misura c’è e i problemi sono, soprattutto, politici. Ci sono due impegni cruciali, già presi, con tanto di data: realizzare il mercato unico dell’energia (2014) e sviluppare le interconnessioni che consentano di rifornire l’Europa centrale ed orientale, al posto di Gazprom (2015). Più convincere l’opinione pubblica ad assorbire disagi imprevisti.
Non per quest’anno, comunque. Le riserve di gas disponibili in Europa (40 miliardi di metri cubi) sono sufficienti ad arrivare al prossimo inverno. E, quasi certamente, neanche per il 2016 e oltre, quando altre risorse (dalle rinnovabili al gas liquefatto) potranno diventare operative. Il problema — e il buco — è il 2015. Come sostituire i 130 miliardi di metri cubi di gas che, quest’anno, abbiamo importato dalla Russia? Inutile guardare agli americani. Prima di fine 2015 e, probabilmente, anche più avanti, anche volendo, non avranno le strutture per esportare metano. Ma ci si può rivolgere agli altri tradizionali fornitori che, in questi anni, gli europei hanno trascurato per favorire i russi. Norvegia e Nord Africa sono già importanti fonti di approvvigionamento. Aprire di più i rubinetti dei gasdotti da Nord e da Sud non presenta problemi tecnici: la Norvegia potrebbe fornire 20 miliardi di metri cubi in più, il Nord Africa altri 15. Aggiungiamoci il giacimento olandese di Groningen, dove la produzione, quest’anno, è stata fermata a 43 miliardi di metri cubi, ma può arrivare a 60. Dei 130 che mancano, insomma, oltre 50 sono già pronti.
Poi, c’è il gas che arriva con le metaniere. L’Europa ha le strutture per importarne 180-200 miliardi di metri cubi l’anno, ma, nel 2013, si è fermata (la domanda era bassa) a 46, 20 in meno che nel 2012. Importarne 60 miliardi in più, quest’anno, dal Medio Oriente o dal Sud America, è possibile. Il problema è il prezzo. Il gas russo costa 350 dollari per mille metri cubi, mentre il Gnl si vende in Asia per oltre 700. L’Europa è più vicina a quei giacimenti, dunque potrebbe essere possibile spuntare un prezzo intorno a 500 dollari, più caro di Gazprom, ma per una quota assai ridotta del gas complessivo. Dove trovare gli ultimi 15 miliardi di metri cubi che mancano per colmare il buco dei 130 miliardi di Putin? Nell’industria, a costo di far arrabbiare gli ambientalisti. L’industria europea consuma 150 miliardi di metri cubi di gas l’anno. Spingerla, temporaneamente, a utilizzare petrolio, carbone o, direttamente, elettricità potrebbe ridurre del 10 per cento quei 150 miliardi e colmare il buco.
Ma ci sono altri modi per arrivare al numero magico dei 130 miliardi di metri cubi di Gazprom. Magari accettando di stringere un po’ la cinghia. Limitando, ad esempio, i consumi di industrie energivore come acciaio e alluminio. O quelli dei riscaldamenti delle case. Imporre un tetto di 18 gradi e mezzo ai termosifoni, ad esempio, permetterebbe di risparmiare, in Europa, quasi 20 miliardi di metri cubi di gas.
E Putin? Negli ultimi dieci anni, l’Europa ha già ridotto dal 45 al 30 per cento la sua dipendenza dal gas russo. Il boss del Cremlino può permettersi di perdere quelli che, ad oggi, sono gli unici clienti del suo metano? Mosca sta già vedendo svanire il progetto del South Stream, il gasdotto che dovrebbe portare il metano di Gazprom direttamente dalla Russia in Europa. Ma, soprattutto, Putin sa che una riconversione europea, oggi, dal gas russo ad altre fonti (come il metano americano) avrebbe effetti permanenti. Rientrare sul mercato potrebbe diventare assai difficile. Può sostituire l’Europa con la Cina? Prima, il gas ce lo deve portare. A maggio il presidente russo sarà a Pechino a firmare per firmare accordi su gasdotti. Ma i tubi, per ora, sono solo sui tavoli degli ingegneri. E i giacimenti che dovrebbero servire la Cina non saranno operativi prima del 2019-2021. Anche l’inquilino del Cremlino ha un problema di buco, il prossimo inverno. Per un paese che incassa metà dei suoi soldi dalla vendita di petrolio e gas è un buco anche più preoccupante.