Umberto Eco, la Repubblica 2/4/2014, 2 aprile 2014
ADDIO LE GOFF IL MEDIOEVO DI SANTI E BANCHIERI
È scomparso Jacques Le Goff. Aveva novant’anni, e a molti potrà sembrare un’età ragionevole, ma dopo la morte della moglie, trauma che lo aveva letteralmente sconvolto e da cui non si era mai liberato, aveva passato gli ultimi anni immobilizzato in casa, senza poter camminare, anche se la testa gli funzionava ancora benissimo e non cessava di lavorare e pubblicare, muovendosi con apparati di sostegno, senza incespicare, tra i grattacieli di libri che, non potendo essere ospitati negli scaffali, si ergevano come una dotta Manhattan nel suo appartamento minuto.
La Francia ha prodotto tanti e insigni studiosi del Medioevo, e basti pensare perla storia della filosofia a Etienne Gilson, per la storia dell’arte a Émile Mâle o a Henri Focillon, per la storiografia a Pirenne o a Duby, ma Le Goff è stato un interprete personalissimo di questa grande vocazione francese.
Nasceva nell’ambiente di Annales, la rivista fondata nel 1929 da Marc Bloch e Lucien Febvre, che aveva iniziato un nuovo approccio alla storiografia, privilegiando, rispetto alla “storia evenemenziale” (nomi, battaglie, date, trattati politici) una ricerca su tutti gli aspetti di un periodo, in particolare la vita materiale, i costumi, le strutture sociali.
Le Goff si distingueva nel solco di questa tradizione per avere veramente infranto ogni barriera tra storia degli eventi, modi di pensiero e modi di vita. Nel 1964 il suo La civiltà dell’occidente medievale ci aveva rivelato un Medioevo a tutto tondo, dalla coltivazione dei fagioli ai miracoli dell’architettura, dai modi di vita ai modi di pensiero. Voglio dire che se dovessi indicare a qualcuno il modo migliore per comprendere quella grande epoca che è stato il Medioevo, non potrei che consigliare ancora questo grande libro, anche se ha ormai cinquant’anni. Le Goff ha esplorato il Medioevo nei suoi aspetti più trascurati, la vita degli intellettuali e dei mercanti, o il meraviglioso e il quotidiano. Anche qui, se dovessi rendere conto del suo modo di fare storia, dovrei invitare il non specialista a capire meglio quei secoli non attraverso un elenco di battaglie, ma guardando le miniature dei mesi delle Très riches heures du Duc de Berry, dove si vede come i contadini sedevano intorno al fuoco, come coltivavano i campi o pascolavano i maiali, senza trascurare il gusto cromatico che si manifestava nelle vesti femminili, nelle gualdrappe, nei festini.
Ma, giocando a metà tra storia degli eventi e storia materiale, Le Goff ha scritto una monumentale San Luigi, che gli è costata anni di lavoro, e mi ricordo con che entusiasmo (se la parola è giusta per una ricerca così dolorosa) nel corso del suo lavoro intratteneva gli amici con la descrizione di come era stato bollito il corpo del re in Terrasanta, per poterne riportare le ossa in Francia. Che è un bel modo di fare storiografia, se il racconto storico deve farci davvero capire che cosa avveniva e che cosa si faceva in un tempo antico. E ho usato la parola “racconto” perché Le Goff era anche un gran raccontatore, ovvero sapeva trasformare la Storia in storie affascinanti, da letterato finissimo.
E come storico non tanto degli eventi quanto della cultura (e della filosofia e della teologia) rimane monumentale la sua opera sulla Nascita del Purgatorio, del1981,capolavoro di erudizione e di riscoperta di testi dimenticati.
Questo studioso, che ha passato la vita all’ombra delle grandi cattedrali e passeggiando curioso per Vico degli Strami, non si limitava al lavoro di grande accademico e grande cattedratico ma, come anche i lettori di quotidiani ricordano, sapeva parlare al grande pubblico e per il grande pubblico sono stati scritti tanti suoi libri apparentemente divulgativi, ricchi di illustrazioni e di documenti bizzarri, ma che riuscivano ad essere leggibili e godibili da tutti proprio perché dietro vi stavano i risultati di lunghe ricerche e magistrale sapienza.
Le Goff partecipava attivamente anche alla vita politica del suo tempo, anche se non appariva schierato con gruppi riconoscibili. Ma vorrei ricordare la sua appassionata collaborazione alla Academie Universelle des Cultures, presieduta da Elie Wiesel, dove con Jorge Semprun e me (e cito questo episodio personale perché si era trattato di una appassionante avventura) dell’Accademia aveva stilato la Carta, una sorta di appello e programma contro ogni forma di razzismo e intolleranza.
E, visto che ho dato la stura ai ricordi personali, vorrei ricordare il suo gusto per la buona cucina, il senso dell’amicizia, il saper parlare di grandi cose sorseggiando un buon calvados. Aspetti non casuali e accessori perché ritengo che, per essere un grande studioso, occorra anche essere un grande essere umano, e giovialità e amore per la vita facevano parte della sua capacità di ridar vita al passato.