Goffredo De Marchis, la Repubblica 2/4/2014, 2 aprile 2014
CAMERON: PATTO A DUE PER CAMBIARE LA UE
LONDRA
NON ci sono fiori o altri orpelli nel salone dell’ambasciata italiana di Grosvenor Square. Gli imprenditori e i manager della comunità italiana nel Regno Unito sono entrati da una porta secondaria. Renzi li invita a sedersi come capita.
SUI divani, sulle sedie sparse qua e là. Atmosfera informale. «Voglio ascoltare voi. Il mio obiettivo è aumentare i posti di lavoro e la competitività. Cosa mi suggerite per arrivare subito al risultato? Perché dobbiamo fare presto, ogni giorno in Italia è come se chiudesse un’azienda con mille dipendenti». Alla fine dell’incontro il premier si convince di essere sulla strada giusta. Il pacchetto lavoro non cambierà nella sua parte sostanziale, cioè nella formula che prevede una dose robusta di flessibilità con i tre anni di contratto a termine e gli 8 rinnovi il Jobs act (Renzi ne parla a lungo con il primo ministro conservatore David Cameron, ma non c’è differenza di schieramento quando insieme dichiarano guerra all’Ue della conservazione, «siamo entrambi riformatori e ci impegniamo a cambiarla»). In Italia, intanto, ci sarà una decisa frenata nel processo delle privatizzazioni. «Sono la soluzione giusta, ma prima dobbiamo fare le riforme. Con un Paese più credibile, anche il valore delle aziende che mettiamo sul mercato avrà un’impennata. Le avvieremo nella fase 2 del nostro governo, dopo l’estate».
L’amministratore italiano di una multinazionale racconta la sua storia e invita Renzi a non rallentare nella lotta alla disoccupazione. «La mia azienda aveva 3000 lavoratori prima della crisi. Durante la tempesta siamo dovuti scendere a 2600 ma ora siamo risaliti a 3500. Bisogna essere flessibili, così si torna a crescere ». I testimoni non rivelano il nome del manager. Fa parte della Chatam House Rule, la regola per cui, di una riunione a porte chiuse, si raccontano i contenuti con il vincolo dell’anonimato. Un vecchio vincolo anglosassone che risale al 1927 e che forse è ora di rottamare. Comunque il manager continua: «Lavoriamo in 80 paesi e abbiamo 10-12 cause legali ogni anno. Il 70 per cento di queste è in Italia. Anche la nostra giustizia è un problema ». Renzi annuisce, prende qualche appunto. Il meeting è un botta e risposta senza convenevoli. «Diciamoci tutto», prega il premier. Sul mercato del lavoro concorda: «Dobbiamo aprirlo il più possibile, prendere di petto l’emergenza. É quello che stiamo facendo ». Lo racconta anche a Cameron durante il vertice al numero 10 di Downing Street. Incassa una nuova apertura di credito dal governo britannico, anche sul Jobs act. «Si possono fare delle modifiche — spiega l’ex sindaco — ma non correggere l’impostazione strategica. Il 13 per cento di disoccupazione è una tragedia. Io voglio riportare la percentuale sotto il 10 nei prossimi mesi, nei prossimi anni».
Per questo traguardo non bastano le regole, non basta vagheggiare un «codice del lavoro di 50 norme rispetto alle 2100 di oggi che scriveremo anche in inglese». C’è bisogno della crescita. Gli investimenti in Italia sono ripartiti, giurano gli italiani della comunità di Londra. Ma occorre fare di più. «Liberalizzazioni e sburocratizzazione », ripetono. Accanto a Renzi, è seduto Francesco Caio, mister digitalizzazione del nostro governo. É assente invece Vittorio Colao, amministratore delegato di Vodafone, in viaggio in uno dei 120 paesi coperti dall’operatore inglese. Colao da tempo fa parte dei nomi che Renzi ha in testa per il vorticoso giro di nomine nelle aziende pubbliche. «Ma a un uomo che ha creato un valore di 100 miliardi di dollari per la sua azienda — ragiona con i fedelissimi — non si chiede di tornare in Italia tanto facilmente. Aspetto che sia lui a darmi la disponibilità».
Il digitale è un nodo fondamentale. «Da noi non si investe anche per la corruzione», spiegano i manager. «Noi, mettendo tutto online, combatteremo i corrotti, daremo più trasparenza allo Stato e alle imprese. Sarà tutto più chiaro, più semplice», promette Renzi. Nel frattempo l’invito a investire subito risuona nel salone di Grosvenor Square. I segnali sono positivi, è cominciato un flusso di denaro verso l’Italia e il grosso passa dalla City, centro economico del mondo.
Renzi, per il momento, non scommette sulle privatizzazioni. Eppure mettono sul piatto i fiori all’occhiello del sistema Italia: le Poste, Fincantieri, la Sace. «Le faremo per carità. Ma non subito. Non serve correre in questo caso. Una volta fatte le riforme, offrendo certezze a chi investe acquisteranno valore e lo Stato guadagnerà di più». Adesso l’appuntamento decisivo è quello di stamattina quando Renzi incontrerà i giganteschi fondi d’investimento internazionali che operano a Londra. A cominciare da Blackrock, che gestisce 5 trilioni di dollari e controlla il 4 per cento del mercato globale. Secondo un certo punto di vista, lo squalo maggiore tra tutti gli squali della City. Ci saranno anche Fidelity, Pinko, Schroeder, miliardi di euro controllati in tutto il pianeta. «Saranno molto più critici degli italiani», avverte Serra. «Chiederanno subito: perché dobbiamo credere a lei dopo essere stati presi in giro da quelli venuti prima di lei?». Gente che non fa sconti e che aveva messo in ginocchio l’Italia nel 2011 scommettendo sul default. E’ il meeting cruciale di questa visita a Londra che ieri pomeriggio, dopo il colloquio con Cameron, ha portato Renzi a inaugurare una targa per il passaggio di Garibaldi sul Tamigi 150 anni fa insieme con il sindaco Boris Johnson, all’incontro con la sua icona politica Tony Blair e al Victoria and Albert Museum per una mostra sul fashion italiano. Mostra che i giornali inglesi hanno recensito come il «funerale» della nostra moda, la dimostrazione di un passato molto migliore del presente e del futuro. Proprio l’immagine che Renzi vuole cancellare.