Roberto Giardina, ItaliaOggi 2/4/2014, 2 aprile 2014
UN PARLAMENTO DI TELECRONISTE
Ci lamentiamo dell’Europa, ma chi ci prepariamo a mandare a Bruxelles? Leggo che il Pd vuol candidare la signora sfregiata con l’acido da un suo ex amico (anche se lei, per il momento, pare non volerne sapere). È avvocato, come l’uomo vendicativo, mi fa pena, ovvio, ma non vedo che altri meriti abbia per tutelare gli interessi dell’Italia al Parlamento europeo. È una pratica, questa, che dura da anni: facciamo eleggere a Bruxelles o al nostro parlamento le vedove di delitti di mafia, come se fosse un risarcimento, senza badare alle capacità di candidati e candidate. Lo so che, tanto, al senato e alla camera si va per far numero, ma non è una scusante, questa. Ancor meno in Europa, dove i nostri eletti, di tutti i partiti, si sono resi celebri per figure penose. E sono, questo è noto, anche i più pagati.
Ora, tutti i partiti, nessuno escluso, stanno dando la caccia alle nostre telecroniste credendo di accaparrarsi voti. I vendoliani puntano su Maria Cuffaro del Tg3, a Forza Italia vogliono Maria Antonietta Spadorcia del Tg2, Ilaria Capitani, seguace di Veltroni entrerebbe nella lista del Pd. Per la Lega, si candida Sonia Sarno del Tg1. Sempre Forza Italia vorrebbe la Petruni, famosa per sfoggiare la farfallina di strass dono di Berlusconi alle sue belle. Chissà come lo spiegherà a Bruxelles, e in quale lingua. Bianca Berlinguer, finalmente, avrebbe detto no. Sono tutte donne. E i colleghi? Come definire il contrario delle quote rosa? Spero che le giornaliste capiscano che questo apparente privilegio è un subdolo insulto. Le si sceglie solo per l’aspetto?
In passato abbiamo mandato a Bruxelles Michele Santoro e Lilli Gruber, che le lingue le conosce. Ma hanno preferito rinunciare e tornare al loro lavoro a Roma. In Europa non c’è niente da fare, e ci si annoia. Ed è sicuramente vero. Non sono mai stato uno specialista di vertici europei, o di G8. Ci sono andato qualche volta partendo dalla panchina, perché i miei colleghi specialisti non potevano. Ho trascorso dei giorni d’incubo. Intanto perché tutti parlano per sigle, a una velocità supersonica. E le sigle cambiano di lingua in lingua, Nato diventa Otan in francese, Bce o Ebc, e così via, pronunciate ovviamente in modo diverso in inglese o in tedesco. Deputati e colleghi di Bruxelles amano il loro gergo, come i preti di una volta amavano dire la messa in latino, si ammantano di mistero. E ti escludono.
Per poter fare un paragone, sono andato a controllare le liste dei candidati tedeschi. È inutile che vi elenchi i nomi, da noi sono sconosciuti, e lo sono anche in Germania, tranne nelle loro zone. Anche qui si scelgono le seconde file, ma sono tutti professionisti della politica, e qualificati in qualche campo, dall’agricoltura all’energia. Ve lo assicuro. Anche Martin Schulz fu mandato in Europa dai socialdemocratici per dargli un contentino. Poi Berlusconi lo rese famoso nel mondo dandogli del kapò, e ha fatto carriera. Ma stiamo parlando comunque di un Martin Schulz, ben al di sopra di tutti i nostri candidati nessuno escluso. Per inciso, Renzi fa male a puntare su di lui per far breccia a Berlino, perché comunque il suo peso politico in casa resta relativo.
I deputati europei non prendono decisioni, ma il loro lavoro non si svolge in aula. Quel che conta sono i rapporti che riescono a stringere con i colleghi europei degli altri paesi, parlano e ascoltano, prendono informazioni, e sono delle antenne utili per prevedere quel che sta per accadere. Noi mandiamo belle signore e uomini neanche belli, poi ci sorprendiamo che a Bruxelles hanno adottato provvedimenti che danneggiano le nostre mozzarelle o l’olio d’oliva. E protestiamo. Troppo tardi. Gli altri ci battono sempre.
Una volta a un vertice, un nostro ministro dell’agricoltura, di cui non ricordo veramente il nome, annunciò in conferenza stampa ristretta: un grande successo, ho ottenuto il raddoppio del premio di produzione per i nostri pomodori. Quant’era prima? domandai, finalmente sicuro di non fare la figura dello sprovveduto. «Perché lo vuole sapere?», mi guardò male. Vorrei sapere, il doppio di che? «Questo non lo so», si arrese. Sarò maligno, ma sono sempre sicuro che il ministro tedesco lo avesse fregato. Prendi il doppio sui pomodori, e mi dai il 10% in più sulle quote latte. E adesso facciamo i formaggi in Emilia con il latte bavarese.