Daniela Condorell, D, la Repubblica 29/3/2014, 29 marzo 2014
LA SCELTA DI JOLIE
Lo chiamano “effetto Jolie”. È il boomerang che ha investito la popolazione femminile occidentale dopo lo scorso 14 maggio, quando l’attrice ha deciso di raccontare al mondo la sua privatissima scelta: farsi asportare entrambe le mammelle dopo aver scoperto di essere portatrice di una mutazione genetica che aumenta il rischio di avere un tumore al seno. Ora il nuovo annuncio: Angelina sta programmando un ulteriore intervento per scongiurare il cancro. Non dice quale, ma il pensiero va alle ovaie: di quel tumore è morta la madre.
Provate a digitare su Google «Angelina’s choice», e in un quarto di secondo compariranno 135 milioni di link. Ecco il punto. L’«effetto Jolie» ha fatto parlare tutti di mastectomia “profilattica” o “controlaterale”, ovvero l’intervento su una mammella sana qualora l’altra sia già ammalata. Dietro i termini tecnici, però, si celano disinformazione e paure.
Quando ad attivarsi è un modello femminile come una star di Hollywood, tutti si chiedono: «E se avesse ragione?». Ecco allora che negli States il numero di interventi è in aumento, e si moltiplicano le indagini sull’impatto che l’annuncio ha avuto. Preoccupati, i ricercatori del Dana Farber Cancer Institute di Boston hanno rilevato che molte giovani scelgono di asportare la mammella sana anche se non sono convinte di aumentare così la sopravvivenza. Inoltre, un’indagine della Johns Hopkins School of Public Health di Baltimora ha rilevato che sei donne su dieci, a fronte di una predisposizione genetica, seguirebbero l’esempio dell’attrice.
E in Italia? «Le maglie dei nostri percorsi sono così strette che non credo l’“effetto Jolie” si sia ripercosso sul numero degli interventi. Ha però avuto un impatto sulle persone che non sono seguite dai medici», risponde Claudia Borreani, responsabile della Struttura di psicologia clinica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Per esempio, sono aumentate le richieste di test genetici da parte di donne che ritengono, sbagliando, di trovarvi la soluzione alla paura.
Nessuno vuole invocare il silenzio stampa, ma esigere un’informazione puntuale. Che dica, per esempio, che la scelta di Jolie è una strada, non l’unica, solo per chi ha una mutazione genetica che predispone ai tumori di mammella e ovaie. L’altra è fatta di controlli e colloqui.
Riferisce Corrado Tinterri, responsabile dell’Unità operativa di senologia dell’Humanitas di Rozzano, che le richieste per una prima visita sono aumentate del 30%: «La fobia del cancro suscitata dal caso Jolie ha mostrato la necessità di centri in cui trattare le situazioni più delicate. L’effetto mediatico ha ottenuto il solo risultato di disorientare le donne». Anche per Franca Fossati-Bellani, presidente della sezione milanese della Lega italiana per la lotta contro i tumori, «la vicenda dell’attrice ha indotto un’angoscia ingiustificata». Due anni fa la Lilt ha avviato, in collaborazione con Genetica e Senologia dell’Istituto dei Tumori, il progetto “Donne a rischio ereditario”, dedicato a quelle che non hanno una mutazione genetica, ma un rischio familiare superiore alla popolazione generale. «L’anno scorso una trentina di pazienti sono state seguite nello spazio prevenzione di viale Caterina da Forlì a Milano: un modo per rispondere, con controlli clinici e strumentali, ai bisogni delle donne a maggior rischio», evidenzia Fossati-Bellani.
C’è bisogno di chiarezza e di qualcuno che ricordi, con Tinterri, «che non stiamo parlando di un’operazione estetica, ma di un intervento chirurgico, un’amputazione ». Bisogna fare i conti con una mutilazione, il dolore, la mancanza di sensibilità, la limitazione nei movimenti, l’impossibilità di allattare, la perdita dell’integrità corporea, l’impatto sulla sessualità e sulla percezione della propria immagine.
Ecco perché il percorso che porta a questa scelta è lungo e articolato. Anzitutto va valutato se esiste una familiarità importante, se cioè, nella cerchia ristretta dei parenti, ci sono stati più casi di tumore al seno o alle ovaie. Ci si può allora rivolgere a un centro dedicato, per valutare se effettuare il test genetico che determina se si è portatori della mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2. Secondo Orphanet, banca dati sulle malattie genetiche rare, la mutazione è presente solo nel 5-7% dei casi di tumore mammario. «Essere positive per uno di questi geni significa che il rischio di ammalarsi nella vita arriva sino all’85%», spiega Tinterri. Contro un rischio medio per una non portatrice di circa il 12-13%. «Asportare entrambe le mammelle non azzera del tutto il rischio, perché è impossibile rimuovere tutto il tessuto mammario, ma lo riduce del 90%». L’alternativa è uno screening serrato. Secondo l’American Cancer Society chi risulta BRCA1 e BRCA2 positivo deve sottoporsi a mammografia, ecografia e risonanza magnetica della mammella ogni anno a partire dai trenta.
In entrambi i casi, operazione o controlli, la scelta è soggettiva, e per esserne soddisfatte è necessario intraprendere un percorso senza scorciatoie e senza lasciarsi influenzare dalla Jolie del momento. Spiega a D Claudia Borreani: «È più probabile che effettui una mastectomia chi è già stata operata, rispetto a chi è portatrice sana. Sei donne su dieci scelgono di asportare il seno se hanno già avuto un tumore della mammella; tre su dieci, invece, fanno l’intervento se hanno scoperto una mutazione genetica, ma sono sane. È inoltre più probabile che a compiere una scelta così radicale siano donne con figli piccoli o che hanno vissuto un’esperienza di tumore in famiglia». Scrive Mari su un forum: «Ho fatto la mastectomia preventiva perché ho scoperto di essere portatrice del BRCA1 dopo che mia sorella si era ammalata. Ho deciso di operarmi perché trovavo angosciante controllarmi ogni sei mesi in attesa di una brutta notizia. Purtroppo», continua, «non ho ottenuto un buon risultato estetico per colpa di un’infezione». Come lei, Carla, seguita in via Venezian, racconta: «Accompagnare mia sorella a fare la chemio e vederla soffrire mi ha lacerata e mi ha fatto decidere per l’intervento. Ora vivo molto più serenamente. Certo, quando mi guardo allo specchio vedo cicatrici piuttosto evidenti, ma se dovessi tornare indietro lo rifarei».
«Tutte le donne con mutazione genetica», conferma Borreani, «anche chi ha scelto di seguire un programma di controlli serrati, sono soddisfatte». I risultati di questo studio sono stati pubblicati su Clinical Genetics e analizzano l’impatto delle scelte di pazienti geneticamente predisposte al tumore della mammella e delle ovaie. Sì perché anche per le ovaie il rischio è aumentato se si è portatrici di una mutazione di BRCA1 e BRCA2. Ma dell’aggressivo cancro ovarico ci si dimentica spesso. Chissà se l’ultimo annuncio di Angelina servirà a metterlo sotto i riflettori.