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 2014  aprile 01 Martedì calendario

BRAY NON HA LASCIATO TRACCIA NEL SUO PASSAGGIO AI BENI CULTURALI. LO DICE LO STORICO DELL’ARTE, FLAVIO CAROLI


Flavio Caroli, ravennate, classe 1945, ha scritto un altro libro. E non è un libro d’arte dei soliti, assai belli, che ha firmato in questi anni. Lo storico è tornato a scrivere un romanzo dopo Mayerling amore mio che, nel 1983, fu finalista allo Strega. In mezzo c’era stato Trentasette, in cui aveva immaginato le ultime ore di alcuni famosissimi artisti morti (o morti all’arte), appunto a 37 anni. Il suo Voyeur, uscito per Mondadori nei giorni scorsi, è in realtà una storia unica che si dipana in 50 racconti, una sorta di prisma a più facce sul mondo. «Nei primi quarantanove», dice Caroli, «il protagonista cerca la forma e la verità come forma. Nel cinquentesimo scopre che forse la verità non è forma, ma è informe. È caos. O, come è dico, la verità è il meraviglioso capriccio della realtà».
Domanda. Un libro che c’entra con l’arte, anche se racconta di un giovane fotografo in giro per il mondo?
Risposta. Certo. Per tutta una vita ho visto e scritto delle cose vedendole con gli occhi degli altri, dei grandi artisti. La vita passava da lì, ricca e complicata. Adesso l’ho raccontata direttamente, che è un po’ come tenere insieme i due azzurri che ci sono nel Polittico di Gand di Van Eyck.
D. L’arte c’entra sempre con tutto. Sempre più con la politica. Ora è arrivato un premier, Matteo Renzi, che, da sindaco, di arte voleva occupare spesso, facendo arrabbiare tanti suoi colleghi critici. Sulla ricerca del Leonardo nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, micro-perforando gli affreschi vasariani, si prese del «vandalo»...
Risposta. Guardi, io partirei da un fatto. Un politico che parli d’arte, che ci pensi cioè, mi sembra un fatto eccezionalmente positivo. Agli altri politici non gliene è mai fregato niente.
D. In effetti, nel ruolo di presidente del consiglio, non ricordo spiccate sensibilità artistiche...
R. Ma anche in altri ruoli politici di primo piano, via...
D. Beh, Walter Veltroni, forse...
R. Sì, forse qualcosa lui, qualcosina Giovanna Melandri, da ministri. Ma lo stesso Veltroni, in realtà, s’è occupato molto di cinema. Ribadisco: un presidente del Consiglio che voglia occuparsi di arte è un fatto altamente positivo.
D. Renzi a Firenze aveva espresso un’idea di patrimonio artistico come volano di sviluppo, come elemento di marketing territoriale. Ora, durante la recente polemica di Giovanni Valentini, su Repubblica, sull’immobilismo delle sovrintendenze, questo argomento è ripresa con vigore: guai a usare l’arte per produrre ricchezza.
R. Sicuramente se non c’è sfruttamento brutale, se non c’è storpiatura delle cose, io lo vedo come un fatto positivo. Come sempre è questione di ragionevolezza: l’arte è una ricchezza che può produrre un’ulteriore ricchezza. I Francesi ce lo insegnano: sono stati i primi a usare persino i cartelli stradali per promuovere le loro bellezze, il loro paesaggio, i loro vini. Usare la nostra bellezza per produrre benessere non è controindicato. E poi l’intervento di Valentini, ammettiamolo, aveva una sua ragionevolezza.
D. Da che punto di vista?
R. E cioè che non occorra diventare talebani della conservazione. Ho diretto per otto anni Palazzo Reale a Milano e so bene come una sovrintendenza possa rispondere di no alle cose più ovvie e banali. Certo ci sono funzionari che per due lire di stipendio e tutelano opere e monumenti importanti ma ci sono anche quelli che sono vecchi nella testa e dicono di no a tutto. Oppure quelli che fanno lobby e che, quando vai a chiedere loro un’opera in prestito per fare un allestimento, ti rispondo «no» a priori. Mentre dicono di sì ad altri che magari nella lobby sono inseriti. Mi viene in mente Guicciardini.
D. Vale a dire?
R. «Le cose non son vere se non gli insegni la discrezione».
D. È singolare opporsi strenuamente a un uso economico dell’arte e stracciarsi le vesti per ogni crollo di muro a Pompei.
R. Infatti l’uso ragionevole dei guadagni di una gestione diversa dell’arte dovrebbe essere destinato al recupero, alla conservazione. Ma pensando proprio a Pompei, scusi, si rende conto che l’anno scorso, a Londra, con quattro reperti pompeiani hanno fatto una mostra con un milione di visitatori paganti?
D. Loro coi reperti, noi che abbiamo Pompei, dobbiamo mandarci un generale dei carabinieri a farla funzionare...
R. Pompei dovrebbe essere curata benissimo, da personale qualificato, e produrre danaro per restauri continui: sarebbe un circolo virtuoso.
D. Ma professore, si esalta il recupero della Piramide Cestia a Roma, finanziato dal mecenate giapponese Yuzo Yagi, mettendo in guardia dagli sponsor: «Un conto è chi vuol donare qualcosa alla collettività», scriveva recentemente il critico d’arte Tomaso Montanari sul sito del Corriere, «un conto chi vuole guadagnare associando al proprio marchio un valore immateriale (l’immagine del Colosseo, per dirne una) che appartiene alla collettività».
R. Questo giapponese sarà pure un santo ma io i santi non li ho mai conosciuti. Non vorrei che poi ci fossero interessi indiretti, insomma. Il punto è che qui non abbiamo ancora capito che da 6-700 anni almeno siamo nel mondo del capitale, che può essere bene o male amministrato. Ma facciamocene una ragione, in quello siamo.
D. Torniamo al premier Renzi. Per quando, avviate le altre riforme, si occuperà anche di arte, gli vogliamo dare qualche buon consiglio?
R. Renzi è un acceleratore. E allora acceleri anche sull’arte e se ne occupi molto. Certo affinando strumenti di conoscenza, da applicare in modo virtuoso, e non si degradi il patrimonio. Anzi diciamolo per punti. Primo: accelerare. Secondo: mettere persone competenti ai posti giusti. Terzo: innescare la spirale virtuosa, vale a dire creare profitto da reinvestire nell’arte.
D. Quando parla di persone competenti pensa a qualcuno, in particolare?
R. Penso a professonisti che non siano né moralisti né sfruttatori.
D. A proposito, lei mi sembra si sia sottratto alla polemica contro il ministro Dario Franceschini, che ha coinciso alla esaltazione postuma del suo predecessore, il dalemiano Massimo Bray.
R. Sa, i ministri della cultura li guardiamo tutti con grande interesse ma insomma mi pare, onestamente, che Bray non sia pervenuto.
D. Come la temperatura di Bolzano, certi giorni, nel meteo in tv degli anni ’70. E Franceschini?
R. Quanto a Franceschini, non ho capito, francamente, tutte queste polemiche: mi pare una persona colta, uno che scrive romanzi e li scrive bene, direi. Ma il nodo è quello che le dicevo prima. Come ho detto? Me lo rilegga un po’...
D. Né moralisti, né sfruttatori.
R. Ecco, appunto: né moralisti né sfruttatori, nella cultura e nell’arte. Di questo ha bisogno Renzi e abbiamo bisogno noi.

di Goffredo Pistelli