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 2014  marzo 29 Sabato calendario

PARLA CON LUI


Si sa che una nascita prematura può aumentare le probabilità che un bambino nasca autistico, specialmente se viene al mondo molto sottopeso. E anche la familiarità della malattia - è accertato - costituisce un rischio; come pure, così sembra, la carenza di vitamina D. Molto altro sulle cause dell’autismo, tuttora, non è noto. E il mistero resta. Per fortuna Leo Kanner, il medico americano sostenitore - nel secolo scorso - di una teoria secondo la quale i bambini sofferenti di autismo sono per lo più figli di madri occupate fuori casa, ha, in seguito, con fermezza ritrattato, ammettendo di non aver ben considerato il fatto che alla sua costosa clinica si rivolgevano soprattutto donne acculturate, che leggevano, s’informavano e disponevano di buoni mezzi economici.

QUEL SEGRETO CHE NESSUNO HA SVELATO
La malattia, insomma, è trasversale: coinvolge famiglie ricche e povere colpendo tra i 5 e i 50 bambini ogni diecimila, maschietti soprattutto, anche 5-6 volte più spesso delle femmine. E per fortuna è tramontata anche quell’altra teoria che attribuiva delle responsabilità ai genitori, raccomandando, di conseguenza, l’allontanamento da casa dei piccoli. Gli antichi si affidavano al mito per spiegare l’inspiegabile, ritenendo i bambini autistici “figli delle fate”, segreti, misteriosi, diversi, sostituiti in culla a quelli degli umani. Segreti, misteriosi, diversi appaiono ancora oggi, assorti in pensieri e fantasie dei quali non concedono le chiavi.
Se colpito è il primo figlio, succede che i genitori non si raccapezzino fino a quando non nasce il secondo che apre loro gli occhi sulle differenze di comportamento tra l’uno e l’altro. Non parla o parla poco, questo bambino, senza seguire un filo logico, risponde a domande mai poste, divaga, tace, insiste nella ripetizione di un suono - ecolalia si chiama - perché gli piace, perché vi coglie qualcosa di speciale.

UN NUOVO ALFABETO TUTTO DA INVENTARE
Cammina sulle punte, ripete gesti in modo ossessivo, come fa con le parole. E prima di cominciare - tardi - a parlare, già da piccolissimo manda un segno della sua volontà di stare tra sé e sé: evita lo sguardo altrui, anche quello del papà e della mamma, distoglie gli occhi, si nasconde. Figlio misterioso delle fate, non avevano tutti i torti gli antichi.
Ai famigliari non resta che cercare di costruire ponti per stabilire una comunicazione tra loro e lui che forse ha paura del vuoto, forse diffida di chiunque, forse non riconosce padre e madre, fratelli e sorelle come suoi simili, lui e loro reciprocamente alieni. Vari sono i modi per costruire questi ponti che a volte possono essere passerelle, altre veri e propri viadotti, e ciascuno tenta il suo. Per mezzo della fotografia, il suo mestiere, come ha fatto Timothy Archibald, e se il risultato da principio sembra mostrare un bambino (suo figlio) soggetto passivo del racconto, con il proseguire degli scatti si ha la sensazione che sia il bambino stesso a mettersi in posa, a decidere il set, a narrare in prima persona la sua storia. Altri genitori ci riescono con la musica, con il disegno, con il cinema, con lo sport. O con i viaggi, come ha fatto quel papà italiano, Franco Antonello, che ha girato l’America in moto con Andrea, diciottenne figlio autistico, sul sellino posteriore. La loro storia l’ha raccontata Fulvio Ervas nel best-seller Se ti abbraccio non avere paura.
IL PERCORSO VERSO L’AUTONOMIA
Tutte le storie felici di ponti infine costruiti hanno visto al lavoro - durissimo, paziente, quotidiano, a volte disperato - padri e madri. Senza di loro non sembra esserci possibilità di stabilire una qualche forma di comunicazione; non ci sono terapeuti che tengano, né insegnanti o educatori: possono soltanto aiutare, completare, consigliare, ma quel che conta è il giorno dopo giorno, l’attenzione perseverante, ostinata che discende dall’amore.
L’importante, anche questo oggi si sa con certezza, è capire presto e incominciare presto - entro i cinque anni - con un percorso riabilitativo perché solo così si può assicurare al bambino autistico un futuro sufficientemente autonomo. E si può immaginare che il pensiero predominante dei genitori sia proprio tentare il possibile e l’impossibile affinché quel loro figlio delle fate che, chissà come e chissà perché, si sono ritrovati nella culla, riesca ad avere, in futuro, quando loro non ci saranno più per proteggerlo, per custodirlo, una vita normale, una vita buona, uguale a quella dei figli degli umani.