Daniele Martini, Il Fatto Quotidiano 1/4/2014, 1 aprile 2014
ACEA, IL PREZZO DEI LAMPIONI E LA GUERRA DI MARINO AI PRIVATI
Il Campidoglio si svena per illuminare la Città Eterna pagando circa 260 euro l’anno a lampione alla sua azienda comunale, l’Acea. Più del doppio di quel che sborsa Bologna (115 euro a lampione) e molto più di quel che spenderebbe se la luce la comprasse al prezzo proposto ai comuni del Lazio da Consip (la centrale acquisti per le amministrazioni pubbliche): 188 euro. Essendo i lampioni della Città Eterna 210 mila, il Campidoglio spende dai 15 ai 30 milioni di euro in più all’anno rispetto a quel che spenderebbe adottando lo standard Consip o pagando come Bologna. In compenso il servizio fornito da Acea è scadente, come certifica nel dossier 2013 l’Agenzia per la qualità di Roma Capitale. E come la stessa Acea ha implicitamente riconosciuto dando il benservito alla fine di febbraio al manager preposto, Giancarlo Daniele (che però è stato accompagnato alla porta con una buonuscita di circa un milione di euro).
L’AZIENDA COMUNALE giustifica il prezzo fuori quota sostenendo di offrire più degli altri: la manutenzione straordinaria o la rapida sostituzione dei cavi di rame ciclicamente rubati. Ma basta guardarli i lampioni, spesso spenti di notte e accesi di giorno, per avere la conferma che la manutenzione più che una realtà è una promessa. E per quanto riguarda i cavi di rame, è sufficiente parlare con gli abitanti dei quartieri dove i furti sono avvenuti per scoprire che per riavere la luce hanno dovuto attendere settimane. Di fronte a queste carenze, il sindaco Ignazio Marino ha continuato per settimane a pungolare i capi dell’azienda comunale, l’amministratore Paolo Gallo e il presidente Giancarlo Cremonesi, perché migliorassero il servizio. I manager hanno reagito arroccandosi e sventolando gli ottimi risultati di bilancio a riprova della buona gestione. Marino si è impuntato e gliel’ha giurata.
L’Acea ha chiuso il 2013 in bellezza, con circa 142 milioni di euro di utile, circa il doppio rispetto all’anno precedente, anche grazie al super-prezzo imposto al Comune per l’illuminazione (e alle bollette di luce e acqua pagate dai romani). In seguito a questi risultati agli azionisti è stato distribuito un dividendo di 0,42 euro ad azione. Possedendo il comune di Roma il 51 per cento del capitale, il sindaco Marino ha ricevuto un assegno di circa 45 milioni. Mentre i due azionisti privati maggiori, il costruttore ed editore romano Francesco Gaetano Caltagirone (16 per cento) e i francesi di Suez (12 per cento), hanno incassato rispettivamente 14 milioni e 10 milioni di euro.
Ricapitolando: il comune di Roma paga più del dovuto la mediocre illuminazione pubblica all’Acea che così si ingrassa e fa utili. Poi, però, quando si tratta di distribuire i dividendi il Campidoglio deve spartire con i privati. Il sindaco Marino considera Gallo e Cremonesi i garanti di questo andazzo ed è arrivato ad accusarli di essersi imbullonati alle poltrone a difesa dei loro superstipendi. Gallo è stato voluto da Caltagirone, Cremonesi fu scelto dall’ex primo cittadino, Gianni Alemanno.
DA ALCUNI GIORNI in un cartellina sulla scrivania di Marino c’è una tabella con un confronto tra le remunerazioni 2012 dei manager capitolini e dei loro colleghi delle maggiori aziende italiane fornitrici di servizi come Hera, A2A e Iren. Le cifre sono tratte da pubblicazioni ufficiali, tranne quelle di Gallo. Nel 2012 Gallo era solo direttore generale e prendeva 700 mila euro, ma dal 2013 è anche amministratore. Dagli atti al momento non risulta nulla relativamente al suo nuovo incarico. Le fonti aziendali ufficiali parlano di uno stipendio 2013 di appena 380 mila euro di retribuzione come amministratore che possono raddoppiare se vengono raggiunti tutti i risultati, più 36 mila euro di gettoni. Quindi un massimo totale di 800 mila euro. Ad altre fonti interne risultano cifre diverse: 1 milione di euro, 700 mila dell’ex stipendio da direttore generale a cui avrebbe aggiunto parte dei 438 mila euro riconosciuti al suo predecessore, Staderini. L’amministratore delegato di Hera, Maurizio Chiarini, ha riscosso 475 mila euro, mentre quello di Iren, Roberto Garbati, 478 mila. Il presidente di Acea Cremonesi ha incassato invece 532 mila euro: 300 mila di stipendio base, un bonus di 108 mila più altri 124 mila euro per incarichi in altre società del gruppo. Il presidente di Hera, Tomaso Tommasi di Vignano si è fermato a 475 mila euro, quasi come Roberto Bazzano di Iren, mentre Graziano Tarantini di A2A ha sfiorato il mezzo milione. Tra i consiglieri Acea Andrea Peruzy riceve il compenso più alto, 132 mila euro; elevate anche le retribuzioni del collegio sindacale, dai 269 mila euro di Alberto Romano ai 297 mila di Enrico Laghi.