Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 01 Martedì calendario

BUFALE NON SOLO DA MANGIARE


Un tempo decisivo e oggi quasi superfluo: è il rischio che corre il critico gastronomico nell’era di Internet. Fino a dieci anni fa, le guide spostavano i consumi. Oggi i premi ci sono ancora, le stelle e le forchette deluxe non sono certo scomparse, ma è cambiato tutto. Gianni Mura, in tempi non sospetti, ricordava come “guida” fosse l’anagramma di “giuda”. Una puntata di Report, nei primi anni Duemila, mise in guardia sul concetto appena disinvolto di onestà intellettuale che caratterizzava alcune pubblicazioni enologiche. Ora chi ieri era un guru è uno come tanti o giù di lì.
È ACCADUTO ovunque, ancor più nella critica specializzata: le recensioni di film, di dischi, di libri. Perché comprare in edicola riviste ad hoc quando in Rete si trovano – gratis – blog attendibili e portali aggiornatissimi? Per la stampa enogastronomica vale ancora di più. Ai (loro) bei tempi nessuno ambiva a essere star. Erano tutti più o meno consapevoli di coltivare una nicchia e il piatto di lenticchie da spartire bastava a tutti. Poi, negli ultimi anni, una mutazione doppia e brutale. Da una parte la cucina, ancor più del vino, è diventata un fenomeno mediatico trasversale, con tanto di invasione in tivù dei format culinari e con la divinizzazione del cuoco (anzi chef) assurto a icona pop e star. Dall’altra parte la stampa ha ceduto il passo al web e la grande firma si è vista superare dagli ultimi arrivati: più giovani e meno paludati, più ironici e meno tromboni, più ambiziosi e dannatamente al passo coi tempi. Così contemporanei da rifiutare perfino la dicitura (bolsa?) di “critico”, preferendo il più smart “appassionato”. L’ulteriore meteorite, per i giornalisti della vecchia guardia (e ce ne sono di bravissimi), è arrivato con TripAdvisor. Ieri si sceglieva il ristorante con la Guida del Gambero Rosso o Le Osterie di Slow Food, volendo – e portafoglio permettendo – con la Michelin. Adesso bastano smartphone e connessione. Il rischio è quello della sòla: del ristorante inspiegabilmente incensato in Rete. Per quanto giovane, la storia di TripAdvisor è già piena di cantonate siderali. Ma i pregi restano superiori ai difetti, a partire dalla comodità innegabile e dalla consultazione gratuita. TripAdvisor rilancia poi il mito dell’“uno vale uno”, applicato stavolta non alla politica ma al giornalismo: tutti possono improvvisarsi recensori. E tutti possono utilizzare quelle perifrasi tragicomiche per descrivere pomposamente verdure crude e besciamelle scondite, scomodando parole evocative come “julienne” e “roux”. In questo senso la scrittura gastronomica è paragonabile a quella enologica: non esiste al mondo anima viva in grado di riscontrare in un vino i sentori di “goudron bagnato”, “sella di cavallo sudato” o “anice stellato appassito in una notte di plenilunio autunnale”, ma se lo sostieni passi senz’altro per un tipo figo (e nessuno potrà mai sbugiardarti, perché nel vino e nella cucina l’oggettività è come l’arguzia in Gasparri: non esiste). Come sopravvivere, allora, all’invasione del web e all’utopia dell’iperdemocrazia, se si è critici di lungo corso? Puntando sulla professionalità, sulla sobrietà, sulla storia. Sul peso del proprio cognome e della propria testata. Sulla poca contiguità con gli chef, sull’imparzialità dei giudizi per nulla condizionati da amicizie equivoche. Ne Il Caimano di Nanni Moretti c’era una scena emblematica: un critico gastronomico, tronfio e insopportabile, demoliva con compiaciuto sadismo i piatti di un ristorante, prima di trovare la morte per mano della supereroina stracult Margherita Buy. In quel ritratto morettiano era possibile riscontrare i tratti salienti di un piccolo ma agguerrito esercito di quasi-divi, prime firme ignote alla massa ma conosciutissime – e dunque temutissime
– da cuochi e ristoratori. Oggi è tutto cambiato, anche se certi vezzi restano. Per esempio la recensione preventiva: l’applauso a prescindere. Tra gli ultimi a caderci, gli estensori della Guida Ristoranti dell’Espresso. Prim’ancora che il ristorante Alice di Oscar Farinetti aprisse a Milano, all’interno di Eataly nell’ex Teatro Smeraldo, la guida – uscita lo scorso ottobre – pubblicava una recensione estasiata. Eppure il locale non aveva ancora aperto, come ha svelato Dagospia.
DI CASI ANALOGHI se ne trovano di continuo. Paiono gli ultimi fuochi di una razza in via d’estinzione: colui che ieri spostava piccole ma decisive masse di consumatori e oggi si sente prossimo all’irrilevanza. Un po’ come i cantanti melodici, che passarono in un attimo dai plausi nazionalpopolari alla dimenticanza anticipata perché spazzati via dall’esplosione del rock. Oggi Jimi Hendrix è TripAdvisor e Gianni Pettenati, peraltro ottimo critico musicale, è lo scriba enogastronomico tradizionale. È cambiato tutto, forse in meglio e forse no, ed è un processo irreversibile.