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 2014  aprile 01 Martedì calendario

GERARDO D’AMBROSIO IL PM CHE SALVÒ I DS DA TANGENTOPOLI


Domenica è morto Gerardo D’Ambrosio ed è morto un giudice comunista, di sinistra, una toga rossa: il problema non è la definizione, ma il significato che si vuol darle. Durante Mani pulite c’era chi passava il tempo a intercettare ogni rantolo di D’Ambrosio nella speranza che la sua appartenenza politica fosse finalmente colta in flagranza, e non era facile, anche perché D’Ambrosio, a ogni sparata faziosa, affiancava comunque una sua diversità. Una volta declarato che trattavasi tipicamente di «galantuomo» (tutti d’accordo) per altre cose D’Ambrosio restava indecifrabile.
È il magistrato che, pur di sinistra, scagionò il commissario Luigi Calabresi per l’omicidio-suicidio dell’anarchico Giuseppe Pinelli. È anche il magistrato che ammise come Craxi infine non abbia intascato una lira (per sé) e che disse pure: «Craxi avrebbe favorito, forse, una soluzione politica seria, ma fu vittima di un meccanismo perverso con i partiti che volevano approfittare delle disgrazie altrui». D’Ambrosio è il magistrato che, quando il Pool presentò una proposta di legge sulla corruzione assieme a Confindustria, nel settembre 1994, prese apertamente le distanze dai suoi colleghi. È il magistrato - anche se intanto era divenuto senatore - che nel 2008 riuscì a dire questo a proposito di una richiesta d’arresto per Sandra Lonardo, moglie di Clemente Mastella: «Io non lo avrei firmato un provvedimento così grave... Quando si manda ai domiciliari il presidente di un’assemblea elettiva, il giudice deve chiedersi quali saranno le conseguenze. Da parte dei magistrati ci vuole maggiore rispetto per le istituzioni». E questa è bella: D’Ambrosio, in pratica, invocò quella sensibilità istituzionale e quella discrezionalità dell’azione penale che a suo tempo lui e il Pool non ebbero per nessuno.
Era di sinistra, D’Ambrosio. Ma non scriveva articoli su Micromega, non aderiva ad associazioni gruppettare, non firmava appelli o manifesti, non querelava, non si affacciava alle telecamere per contestare dei decreti legge, non presenziava a convegni che ne proponevano di alternativi. Era di sinistra ma non come un Gherardo Colombo, molto più ideologico e intollerante di lui: ma come un brianzolo poteva esserlo rispetto a un napoletano, in fondo. Eppure erano infiniti gli indizi e i comportamenti che facevano di D’Ambrosio neppure un comunista: direttamente un diessino, a tratti un dalemiano, senz’altro un elemento politicamente organico, a ma a modo suo. Nell’estate 1993, nella fase più calda di Mani pulite, condusse una sua personale indagine non per incolpare bensì per scagionare Primo Greganti, il noto «tesoriere» comunista intestatario di conti svizzeri: D’Ambrosio si collegò con l’anagrafe tributaria e concluse che neanche una lira era giunta al Pds, fine dell’indagine. E Tiziana Parenti, la pm che conduceva l’in - chiesta appunto su Greganti e sul Pds, secondo il procuratore era «non allineata con la procura». Del resto D’Ambrosio era lo stesso personaggio che al settimanale L’Europeo aveva già detto: «Lo scenario è nitido, Dc e Psi si finanziavano attraverso meccanismi illeciti… c’è stata la fase dello stragismo… poi è venuta l’epoca della corruzione». Secondo D’Ambrosio, cioè, Mani Pulite era finita lì. E in un certo senso fu anche vero: in quel 1993 il Pool di Mani Pulite sceglieva gli obiettivi a seconda delle possibilità del momento e adottava una tattica che Francesco Saverio Borrelli, il procuratore Capo, napoletano anche lui, definì «Blitzkrieg», la guerra lampo degli eserciti germanici: una penetrazione impetuosa su una fascia molto ristretta di territorio lasciando ai margini le sacche laterali, le più difficili da sfondare. Il Pool agiva così: tendeva ad arrivare molto rapidamente a risultati certi e popolari (Craxi, la Dc) e lasciava da parte vicende magari grosse, e magari rosse, da esplorare poi. Quando si mosse verso sinistra, morale, la stampa e l’opinione pubblica già pensavano ad altro.
Le carte che dimostravano come il Pds si finanziò in maniera illecita erano migliaia in tutto lo Stivale, ma, per dirla con Antonio Di Pietro, «l’acqua non arrivava più al mulino». Il defunto magistrato Francesco Misiani, toga rossa per auto-definizione, la mise così: «Se avessi insistito, prima o poi, sarei riuscito a dimostrare che il Pci non era estraneo al circuito di finanziamento illecito… non lo feci, consapevole anche del fatto che la resistenza anche a lunghi periodi di detenzione, dimostrata dagli indagati, forniva anche un ineccepibile dato formale in grado di chiudere le inchieste». Questo mentre Italo Ghitti, il gip di Mani pulite, in un’intervista del 2002 rilasciata al Corriere della Sera ammetteva che il Pds aveva un apparato di finanziamento illecito non meno vorace di altri: «Si sarà anche potuto salvare da accuse di corruzione, ma magari ha dovuto lasciare la sede di partito, vendere il giornale, chiudere l’azienda… il tempo ha evidenziato come, al di là dei fatti penalmente rilevanti, vi fossero realtà che adottavano praticamente lo stesso metodo dei partiti più coinvolti».
Insomma, non ci fu tanto una primigenia e complottarda volontà di salvare la sinistra, anche se Gerardo D’Ambrosio certo non remava a favore. D’Ambrosio, semplicemente, pensava che tutti gli altri fossero peggio: così lui era quello «di sinistra» e la cosa andava bene a tutti. Dunque nel luglio 2003, quando esordì come editorialista de l’Unità - editori ssalista significa editorialista, cioè che esprime la linea politica - nessuno si sorprese più di tanto. Colpì il suo linguaggio: «Quello che avevamo sempre paventato…», esordì. Ecco, ma «avevamo» chi? Lo stile era quello del D’Ambrosio di sempre, solo che al posto dell’espressione «osservazioni dei magistrati» ora scriveva «osservazioni dell’opposizione». Tre anni dopo, poi, divenne anche senatore: e il cerchio fu chiuso, anche se gli resterà l’amarezza di non essere riuscito a incidere. Propose mille cose, non ne passò nessuna. La politica è una cosa seria: ma questo, forse, già lo sapeva. Nel 2002, durante un’inaugurazione dell’Anno giudiziario, incontrò e abbracciò Antonio Di Pietro dopo anni che non lo vedeva. Di Pietro faceva politica ormai da anni, era sempre e ossessivamente sui giornali. Ma D’Ambrosio, genio del male: «Tonino… come ti va? Che fai adesso?».