Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 01 Martedì calendario

LA FAMIGLIA PERFETTA


NELLA famiglia-clan c’è sempre un piatto caldo. Accuratamente conservato in cucina, con la scodella rovesciata al contrario per tenerlo fragrante, perché i figli si sa entrano ed escono, magari hanno trent’anni, addirittura quaranta, ma poi restano lì, nella famiglia-diga, nella famigliacuccia, nella famiglia-baluardo contro l’incertezza del fuori. E non è solo una questione di made in Italy, ormai in tutta Europa assistiamo ad uno strano allungamento del vivere insieme, sempre più generazioni sotto lo stesso tetto, l’autonomia è un percorso ad ostacoli, e il rassicurante modello mediterraneo sembra contagiare tutti.
Succede che complice la crisi, ma anche la paura di saltare nell’ignoto, nel nostro paese ben sette milioni di under 35 continuino (non sempre felicemente) a coabitare con mamma e papà, rimandando sine die quel distacco che già in passato avveniva in età adulta. Con la conseguenza che in questi nuovi clan familiari si stanno riscrivendo le regole della convivenza affettiva, psicologica e interiore, tra un salto all’indietro che ci riporta alla casa-cascina e una nuova condizione che sente invece il gruppo parentale come un soffocante limite della propria autonomia. Figli grandi eppure un po’ adolescenti, genitori ancora autorevoli ma già fragili. L’avevano definita “generazione Tanguy”, film cult sui giovani francesi tenacemente refrattari ad abbandonare la casa dell’infanzia, oggi tutto si è complicato, ma la confusione sentimentale resta. E diventa soprattutto transnazionale, come dimostra uno studio della «European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions», secondo il quale tra il 2007 e il 2011 la percentuale di giovani “Ue” tra i 18 e i 29 che restano ad abitare con i genitori è passata dal 44% al 48%. Un vero contagio, un mutamento antropologico ed esistenziale. Spiega Anna Ludwinek, una delle curatrici dell’indagine: «La crisi economica ha costretto un numero sempre maggiore di giovani a rinunciare alla propria autonomia, con serie conseguenze per la loro indipendenza, la transizione nell’età adulta e la percezione del livello di esclusione sociale».
Non bastano però i dati macro economici per spiegare la famiglia allungata, in particolare la nostra famiglia allungata. Infinita addirittura. Dove i legami sono così stretti che anche quando, finalmente, le generazioni più giovani prendono la via del fuori, continuano ad abitare vicine, nel raggio di pochi chilometri, più spesso di pochi metri. Ma cosa vuol dire restare sotto lo stesso tetto se si è ormai tutti adulti? Chi detta le regole del mangiare, del dormire, della libertà e dei limiti, come si gestiscono le risorse economiche?
Alessandro Rosina, demografo dell’università cattolica, e attento osservatore dei mutamenti sociali, invita prima di tutto a distinguere l’Italia dal resto del mondo. «I genitori italiani considerano naturale occuparsi dei propri figli fino a qualunque età. Nel senso che a differenza dei genitori anglosassoni o scandinavi non rivendicano una loro autonomia di coppia, o spazi finalmente liberi, ma privilegiano piuttosto una solidarietà interfamiliare che non si interrompe mai».
Un accudimento assiduo, che varia dalla cena pronta alle camicie stirate, ai soldi quando ce n’è bisogno, ma nel piacere, arcaico, e tutto mediterraneo, del tenere i figli con sé. «C’è una bassa conflittualità in questi clan di adulti, dove può capitare che ci siano addirittura quattro generazioni insieme. È evidente che
tutto viene rinegoziato, la vita sessuale, il dormire fuori, a volte i figli danno un contributo economico, a volte no. Il dato collettivo — aggiunge Rosina — è che i giovani in famiglia si sentono liberi, nessuno si sogna di proibire che un fidanzato dorma in casa o di imporre orari di pranzi e cene». L’altro dato, aggiunge Rosina, «è che i genitori si fanno carico quasi di tutto». Un forte sostegno per le generazioni più giovani, «ma anche un condizionamento affettivo che non spinge certamente all’uscita, al salto nel mondo». Basta riflettere su un dato: in Italia è naturale considerare un venticinquenne un figlio, un ragazzo, all’estero quello stesso venticinquenne è, invece, un uomo. Dunque la crisi ha semplicemente amplificato la famiglialunga, trasformandola in una famiglia senza età, mutando in necessità quello che era fino a ieri uno stile di vita.
Ci sono però paesi che vanno controcorrente, come dimostrano i dati della Ue. Se infatti il numero di giovani che restano in casa aumenta in stati come l’Italia, l’Ungheria, in Francia e in Inghilterra dal 2007 ad oggi è cresciuta la percentuale di under 30 che vanno a vivere da soli. E basta allontanarsi dalle metropoli, suggerisce Elisabetta Ruspini, che insegna Sociologia all’università Bicocca di Milano, per vedere come e quanto si stia tornano alla coabitazione, al clan. Alla simbolica casa-cascina. «Vivo in provincia e vedo come ormai nelle famose villette unifamiliari convivano anche quattro generazioni, otto, nove persone insieme. Due bambini nati nel 2005, con due genitori degli anni Settanta, una coppia di nonni sessantenni e due longevi bisnonni nati forse nel 1930. Così, mettendo insieme le forze, si riesce ad andare avanti, mescolando magari due pensioni e un reddito, facendo la spesa e cucinando per tutti, ma di certo non sono situazioni prive di conflitti».
Se infatti come dice Alessandro Rosina, tra genitori e figli adulti si respira una certa pace familiare, è assai più difficile far coabitare più generazioni. Un simulacro di quella che era la casa patriarcale o matriarcale, mentre oggi i ruoli sono assai meno definiti. «È fisiologico che non si sia d’accordo su cosa mangiare, su cosa guardare in televisione o sul colore delle tende, quando ci sono tanti anni di differenza tra i componenti dello stesso nucleo. È un familismo di ritorno, rafforzato dalla crisi, ma anche dalla mancanza di welfare e di prospettive per i giovani. Che seppure sostenuti dai genitori rischiano così di non conquistare mai la propria autonomia».