Salvatore Tropea, la Repubblica 1/4/2014, 1 aprile 2014
L’ULTIMA ASSEMBLEA TARGATA TORINO COSÌ L’AVVOCATO LA TRASFORMÒ IN RITO
LA STORIA TORINO.“Dichiaro aperta l’assemblea…..” Cominciava così quel rito annuale che, con i risultati della società Fiat sembrava certificare un ruolo, quello di Torino capitale dell’industria automobilistica italiana e centro di un potere di fatto tramontato con il ventesimo secolo. Con trascurabili varianti fu quello l’incipit utilizzato per oltre cento anni da Giovanni Agnelli il capo della dinastia e poi da Vittorio Valletta, Gianni Agnelli con la presidenza più longeva dopo quella del nonno fondatore, Cesare Romiti, Paolo Fresco, Umberto Agnelli per un solo anno, Luca Cordero di Montezemolo e oggi da John Elkann. Di assemblee societarie, in Italia, se ne tenevano e continuano a tenersi tante, ma questa di Torino era un appuntamento particolare per molte ragioni, non ultima la caratteristica di family company della società in una company town che era appunto Torino.
L’Avvocato Agnelli arrivava puntuale, mai un minuto in ritardo rispetto all’ora fissata che normalmente erano le nove di un mattino di primavera o di inizio estate. La puntualità era più che un vezzo un’abitudine sabauda alla quale lui non intendeva venir meno. Il gessato blu, le cravatte di marca in qualche caso sul pullover, l’orologio sul polsino della camicia e in tarda età un bastone di olivastro nodoso che lo faceva rassomigliare curiosamente a un profeta laico. Entrava nel salone con quella sua andatura inconfondibile, salutava i membri del consiglio che sedevano ai suoi lati in disposizione non casuale, si intratteneva in particolare con il “cugino Giovanni” come chiamava il rappresentante della famiglia Nasi. Poi dichiarava aperta l’assemblea, dando la parola al notaio, quindi all’ad e ancor prima negli anni ai direttori generali perché illustrassero i risultati dell’esercizio precedente.
“Ha facoltà di parola l’azionista…” seguiva il nome. Gianni Agnelli aveva un modo tutto suo di pronunciare questa chiamata degli oratori alla tribuna, elegante e paternalistico e che filtrava come una concessione quello che era un diritto. L’elenco degli iscritti a parlare era quasi sempre fitto di nomi, molti noti, ma con frequenti novità. C’erano i
portatori di numeri importanti di azioni e quelli che parlavano col minimo consentito per avere la parola, quelli che arrivavano da altre città italiane perché la Fiat aveva soci ovunque nel paese e quelli che provenivano dall’estero in qualità di rappresentanti di misteriosi pacchetti di titoli. C’erano talvolta esponenti sindacali che si erano attrezzati con poche azioni, il necessario per poter andare a esporre le ragioni della categoria da un pulpito sul quale non sarebbero altrimenti saliti. Questa partecipazione segnalò negli anni epici scontri tra la Fiat e sindacati.
Ripercorrendo con l’occhio della memoria quelle assemblee ci si imbatte in una variopinta galleria di personaggi, alcuni stravaganti altri preparati e puntigliosi, alcuni disturbatori di professione altri più attenti ai numeri e alle strategie della società. Si ascoltava di tutto: dall’ingegnere che presentava il solito progetto per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, all’operaio che chiedeva una bicicletta per poter girare lungo le catene di montaggio di Mirafiori e assicurare l’ordine in tempi in cui questa impresa era ardua. C’era poi chi coglieva l’occasione per sferrare un attacco alla Family e chi si avventurava in elogi e ringraziamenti per i risultati conseguiti e altro. Date le caratteristiche e gli interessi del Gruppo, le domande non si fermavano quasi mai al dividendo. Ma potevano spaziare fino a comprendere argomenti che con la Fiat avevano poco a che fare. Uno di questi era la Juventus con quesiti diversi a seconda che l’azionista fosse di fede bianconera o granata: naturalmente non mancavano mai i consigli per l’acquisto di un fuoriclasse o la vendita di un brocco.
A seconda dei momenti storici della società l’assemblea poteva durare tanto o poco, ma non finiva mai prima del tardo pomeriggio. L’Avvocato, che per trent’anni esatti ha presieduto salvo, una sola volta, quando si collegò via telefono da una clinica di New York dov’era ricoverato, non era particolarmente fiscale sui tempi di intervento. In un caso ebbe parole durissime nei confronti di un azionista che aveva riferito fatti chiamando in causa Edoardo, il figlio morto da un paio d’anni. Per il resto era cordiale e a suo modo paziente. C’era poi la conferenza stampa che faceva seguito all’assemblea e alla quale Agnelli teneva molto perché aveva un buon rapporto con i giornalisti: a condizioni che le domande, come si diceva allora scherzosamente, non avessero per argomento, “bielle e pistoni”. Per quello c’erano gli ingegneri. Lui, in quella sede non disdegnava di fare irruzione nel campo della politica. E curiosamente diventava questo il titolo dei giornali.
Dopo la morte dell’Avvocato l’assemblea andò perdendo progressivamente interesse e non perché mancassero gli argomenti. Anzi. Il passaggio a una presidenza non espressa dalla famiglia, la crisi di inizio secolo, la morte dei fratelli Agnelli in poco più di un anno l’uno dall’altro, l’avvento dell’era Marchionne e la presidenza John Elkann sono stati temi forti di una transizione lunga, tormentata, per molti aspetti vincente. Un percorso nel quale era stato messo in conto tutto, tranne il fatto di arrivare a un giorno in cui si sarebbe assistito all’ultima assemblea canonica della Fiat torinese: lunedì 31 marzo 2014.