Paolo Berizzi, la Repubblica 1/4/2014, 1 aprile 2014
«VIVIAMO SOSPESI IN ATTESA DI SAPERE CHI HA UCCISO LA NOSTRA YARA»
DAL NOSTRO INVIATO BREMBATE DI SOPRA (BERGAMO) C’È una farfalla che danza in giardino dove Yara giocava a palla con Gioele, il fratellino con le lenti di Harry Potter che la guardava scivolare nei legging se correre in palestra a volteggiare sulla vita. «Provi a andare avanti, per forza. Lo fai soprattutto per loro (gli altri tre figli, ndr). Malamente è sempre lì, al buio che aspetta un segnale. Non stacchi mai e, allo stesso tempo, non riesci a smettere di avere fiducia: come puoi?», dice papà Fulvio mentre armeggia con il taglia-erba sotto il sole che a mezzogiorno riempie gli interstizi tra le villette di via Rampinelli, ai bordi di Brembate. La farfalla, l’insetto che incanta per leggiadria e colori; la farfalla che ha vita breve ma non così anonima da vedere dispersa la sua scia. «La cosa peggiore, adesso, è la totale assenza di uno spiraglio di luce. Non sapere dove indirizzare lo sguardo».
Lo ascolti, Fulvio, e da padre ti si chiude lo stomaco. Oggi sono tre anni, quattro mesi e sei giorni senza Yara. E senza il suo assassino. E senza una pista decisiva nelle indagini: il buio. Un tempo atroce, immenso anche per chi sa portare la croce in silenzio, dignità e compostezza bergamasche: con una fede incrollabile che sopravvive a se stessa, rigenerandosi nella prova più spietata. Fulvio Gambirasio indossa la felpa nera della Gamba, la ditta di coperture impermeabili dove lavora come geometra. Aspira la sigaretta, dice che da una settimana ha promesso al piccolo Gioele che «oggi — è un sabato — tagliamo l’erba. È una dedica che gli ho fatto. Bisogna aiutarli a cercare un senso. Ad accettare l’attesa del tempo, nella speranza che arrivi qualche notizia. L’unica cosa che possiamo fare è non rassegnarci e continuare a avere fiducia nella giustizia: perché il killer di nostra figlia non può farla franca».
Dove si trova la forza per non farsi schiacciare dal peso del più orribile dei misteri? Per non gridare la rabbia e il dolore che brucia dentro? «Non serve invocare scossoni — è la lezione di straordinaria normalità che arriva dal padre di Yara — . Non c’è bisogno di muovere le acque. Siamo qui, aspettando che ci dicano chi ce l’ha portata via e perché. Certo, dopo tutto questo tempo ogni giorno che passa è sempre più duro». Era il pomeriggio del 26 novembre 2010. Yara Gambirasio, 13 anni (ne avrebbe compiuti 17 il prossimo 21 maggio), 150 centimetri e 47 chili, aspirante “Farfalla” — come si chiamano le atlete azzurre di ginnasta ritmica — esce di casa per andare in palestra. Ottocento passi lungo il marciapiede di due strade che formano una elle. Si allena, riemerge dal palazzetto. La ritrovano tre mesi dopo in un campo a Chignolo d’Isola, otto chilometri dalla villetta al civico 48 di via Rampinelli: il corpo ferito, quasi irriconoscibile. Nove coltellate, una lenta agonia al gelo e nessun colpevole. Ventisei febbraio 2011.
«Possibile che nessuno abbia visto o sentito? Possibile che da allora nessuno sia venuto a sapere qualcosa o che l’assassino non abbia commesso qualche passo falso? ». Mamma Maura, Maura Panarese, è maestra d’asilo nido. Insegna a Bergamo Alta e divide il suo tempo tra il lavoro, i tre figli e il fervore
della fede che, negli spazi di tempo, la impegna in attività di supporto a strutture religiose. L’incubo che divide col marito è doppio: anzi triplo. La perdita della figlia, la fitta nebbia che ancora nasconde la mano del killer; la paura che qualcun altro possa vivere — per mano dello stesso assassino — quello che vive lei. «La persona che ha ucciso nostra figlia è ancora in giro, potrebbe colpire un’altra volta. Dopo oltre tre anni — dice la mamma di Yara — , con tutto lo sforzo che viene messo nelle indagini, ma che non è bastato, aspettiamo che chi sa si faccia avanti senza paura. Per aiutare gli investigatori a risolvere il caso. E assicurare il colpevole alla giustizia».
Il «senso» da trovare, per la famiglia Gambirasio, è questo e lo indica la signora Maura: «Viviamo sospesi tra angoscia e fiducia. Nonostante tutto questo tempo crediamo ancora nella giustizia divina e in quella umana». Com’è una vita sospesa? Funziona così. Da una parte il sostegno e la solidarietà della gente, da tutta Italia, non solo quella di Brembate, che non ha mai smesso di scrivere e trasmettere affetto. Dall’altra l’attesa snervante di poter mettere finalmente in una casella, con un nome e un volto, il perché di un mondo che ti è crollato addosso. «Dobbiamo dare una risposta concreta ai nostri figli, ce lo chiedono loro». Un appello «laico» Fulvio e Maura Gambirasio l’hanno lanciato in televisione a novembre dell’anno scorso. La direzione imboccata dalle indagini — ufficialmente, almeno per la scienza di laboratorio, è quella che ancora regge — portava e porta i detective sulle tracce del figlio illegittimo di un autista di Gorno, in Val Seriana: Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999. Parliamo di un possibile futuro assassino nato negli anni Sessanta. Ma trovarlo — ripetono gli investigatori — è «peggio che scovare un ago in un pagliaio». Mistero. E tanti buchi nell’acqua. Per non parlare del fascicolo che raccoglie oltre mille segnalazioni di veggenti, sensitivi, 007 improvvisati, che avrebbero voluto fornire spunti decisivi (salvo poi rivelarsi del tutto ininfluenti) per stanare il killer. Loro, Fulvio e Maura, sono sempre rimasti lì, nel loro limbo, stringendo nel petto un dolore privato che schianterebbe chiunque. «Nonostante l’assenza di risultati concreti nelle indagini, e anzi a maggior ragione, la compostezza con cui questi genitori hanno vissuto e vivono il loro dramma è esemplare». L’avvocato della famiglia, Enrico Pelillo, lo ripete come un mantra dal primo giorno in cui ha ricevuto l’incarico. Nei mesi scorsi tra il legale e il pm Letizia Ruggeri, il magistrato che ha in mano le indagini sull’omicidio di Yara, non sono mancate le scintille. Quello di cui ancora non si ha traccia è un passo decisivo verso la soluzione del caso.