Gabriele Marcotti, Corriere dello Sport 1/4/2014, 1 aprile 2014
TRA LE CHESE E I BAR AGISCE UNA SPECTRE
Brixworth è un piccolo villaggio di poco più di 5.000 abitanti nella contea di Northamptonshire, a 100 km a nord di Londra. La classica campagna inglese, quella gelosamente legata alle tradizioni, al Sunday roast, alla caccia alla volpe, al thè delle cinque. Piccole casette su due piani immerse in un verde pianeggiante e all’apparenza sconfinato. Una via centrale per lo shopping, un paio di chiese (anglicane) e qualche pub.
Non potrebbe esistere contesto più lontano dal rutilante caos delle corse automobilistiche. Eppure è qui che sono stati costruiti svariati motori vincitori di GP, in Formula 1 come a Indianapolis. In questa fabbrica che Toto Wolff, capo della Mercedes, ha definito «un posto pazzesco dove potrebbe essere realizzata un’astronave». Invece si limitano a costruirvi i migliori motori di questa F.l, in ossequioso rispetto del loro motto: «The best or nothing». Il meglio o nulla. Così domenica, subito dopo la vittoria numero 101 di una Mercedes-Benz, è sembrata scontata quanto doverosa la dedica agli oltre 400 dipendenti della fabbrica inglese, fondata nell’ottobre 1983 da due soci, Mario Illien e Paul Morgan con il nome di Ilmor Engineering, dalla crasi dei loro cognomi. In principio venivano costruiti propulsori per le vetture della Formula Indy, dal 1991 si sarebbe espansa anche in F.l (fornendo motori a Leyton House e in seguito alla Tyrrell).
Il salto in avanti, 10 anni più tardi, quando la Daimler-Benz decide di acquistare il 25% del pacchetto azionario controllato dalla Chevrolet, prima di diventare, dal 2005, unica proprietaria, titolare anche della nuova denominazione “Mercedes-Benz High Performance Engines”. Nel frattempo la fabbrica è cresciuta, in numero e prestigio. Grazie ai buoni risultati ottenuti con la Sauber, nel 1995 inizia il connubio con la McLaren in 1995, due anni più tardi arriva la prima vittoria di un suo motore (GP d’Australia) mentre nei due campionati successivi Mika Hakkinen centra la doppietta iridata.
E’ l’inizio di una storia industriale di successo, strettamente legata al territorio che la ospita. Perché ancora oggi la fabbrica finanzia numerose iniziativa locali, dal restauro del campanile della chiesa in stile sassone alla sponsorizzazione delle squadre di calcio e rugby. Esempio di glocalismo, in un certo senso. Nel 2008 si è anche offerta di realizzare due pale eoliche per soddisfare il proprio fabbisogno energetico, e – in parte – anche quello del paese, ma per il momento il piano è fermo perché mancano le autorizzazioni.
Puntualmente arrivate invece quando si è trattato di allargare gli spazi di questa fabbrica all’avanguardia. Oggi organizzata in sei distinti reparti, tutti però strettamente interconnessi. Dalla divisione “performance” a quella elettronica, fino al reparto che studia l’affidabilità di quelle idee che tradotte in modelli potranno poi lasciare la fabbrica. «E tutti hanno un unico semplice obiettivo: trovare il modo per far correre più veloci le nostre vetture», spiega con orgoglio Andy Cowell, il direttore tecnico ingegneristico, ricordando anche l’impegno con altre scuderie, McLaren, Force India e Williams. Ogni anno vengono costruiti circa 100 motori, utilizzati sia nei test interni, che in qualifica e gara.
Solo il carter motore viene costruito nella casa madre di Stoccarda, tutto il resto è made in England. Una volta realizzati, i propulsori vengono monitorati da un super-computer, settato da 20 esperti per continue simulazioni e misurazioni di variabili, così da ottimizzare il motore a seconda delle specifiche del successivo circuito. Senza alcuna paura di sbagliare. Anzi. «Siamo affezionati ai nostri errori perché ci hanno insegnato tantissimo», ricorda Cowell che ogni martedì presiede il “fault meeting”: 15 ingegneri che analizzano con franchezza chi ha sbagliato cosa. «E l’atmosfera può diventare anche piuttosto calda. Ma è vietato minimizzare gli errori», ancora Cowell. Perché per ottenere il meglio non sono ammessi sconti.