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 2014  aprile 01 Martedì calendario

I 15 MILIARDI DI ZHOU L’INTOCCABILE IL SEQUESTRO CHE FA TREMARE PECHINO


PECHINO LA CINA è scossa in queste ore dal più devastante terremoto sotterraneo da quando Mao Zedong ha portato il partito comunista al potere. Le autorità di Pechino hanno sequestrato un tesoro da 15 miliardi di dollari a famigliari e alleati politici di Zhou
Yongkang, 71 anni, ex capo della sicurezza nazionale e membro del comitato permanente del politburo. È la prima volta, in 65 anni, che uno dei nove “intoccabili” del partito-Stato, se pure appena pensionato, viene messo sotto inchiesta per «violazione della disciplina», ossia per corruzione. Per i cinesi è «la caduta della tigre a cui sono stati già strappati i denti» e nonostante la censura abbia bloccato la notizia il Paese attende l’annuncio ufficiale destinato a cambiare la storia nazionale.
Zhou Yongkang, proiettato ai vertici grazie al controllo dei colossi di Stato dell’energia, è scomparso lo scorso primo ottobre, festa della rivoluzione, e risulta agli arresti domiciliari “virtuali”. Nessuno gli ha notificato un ordine di cattura, ma se osasse uscire dalla sua casa nella capitale, verrebbe condotto in carcere. Le indagini su di lui, partite in dicembre, stanno rivelando l’esistenza di un onnipotente sistema di potere parallelo, dedito agli affari illegali e capace di sostituirsi al partito stesso. Senza precedenti gli sviluppi dell’inchiesta. In dieci anni, con Hu Jintao e Wen Jiabao al potere, il clan di Zhou ha occultato beni per oltre 90 miliardi di yuan, agendo come un’organizzazione criminale più potente dell’apparato di cui avrebbe dovuto difendere la sicurezza. Negli ultimi quattro mesi, da quando il presidente Xi Jiping ha intensificato la sua “guerra alla corruzione”, la polizia ha fermato, interrogato e
arrestato oltre 300 persone tra parenti, alti funzionari e businessmen della galassia di Zhou Yongkang. In carcere, in un drammatico e segreto stillicidio quotidiano, anche moglie, figlio, fratello, suoceri, segretari, autisti, guardie del corpo, generali, viceministri e manager pubblici connessi con l’uomo che teneva in pugno le sorti del regime. Tra i beni sequestrati, conti bancari per oltre 4 miliardi di euro, obbligazioni nazionali ed estere per quasi 6 miliardi, ville e appartamenti per 2,5 miliardi, oltre che 60 automobili, oggetti d’antiquariato, opere d’arte contemporanea, gioielli, oro e denaro per oltre 150 milioni di euro.
Un tesoro ricco al punto che la storica “caduta della tigre” rischia di trascinare nel precipizio la stessa leadership rossa che l’ha pretesa. Nessuno in Cina, senza il via libera e il sostegno del potere, può accumulare un patrimonio occulto da oltre dieci miliardi, né piazzare famigliari e amici sulle poltrone strategiche dello Stato. Xi Jinping, già scosso dalle rivelazioni della stampa estera sui tesori nascosti dall’ex premier Wen Jiabao, dal suo predecessore Hu Jintao e dagli stessi propri famigliari, si scontra così contro un’inedita e pericolosa spaccatura dentro il partito. Una parte invoca il silenzio e chiede che lo scandalo Zhou sia risolto all’interno del potere, limitandosi a rimuovere e a privare dei beni i colpevoli. L’ex sceriffo cinese è il custode dei più delicati segreti della nomenclatura e rendere pubblico il valore del suo tesoro equivarrebbe a porre sotto processo i vertici dello Stato che hanno segnato un’epoca. L’altra parte chiede invece uno spettacolare arresto-simbolo, shock tale da
calmare l’incontenibile ira popolare contro il cancro della corruzione politica, che minaccia di far implodere il sistema.
Questa è anche la scommessa di Xi Jinping, che appena nominato presidente, un anno fa, promise ai cinesi che avrebbe abbattuto «sia le mosche che le tigri». La preda individuata però è così grossa che il nuovo “principe rosso” si scopre stretto in una morsa, tra l’apparato e il popolo, e che la sua dichiarata voglia di trasparenza rischia di essere confusa con una resa dei conti interna. Zhou Yongkang, due anni fa, si oppose all’ascesa di Xi al potere e fino all’ultimo difese il suo avversario, il carismatico ex leader neo-maoista Bo Xilai, condannato all’ergastolo in settembre. Nei mesi dello scandalo Bo, accusato di aver coperto l’omicidio di una spia inglese commissionato dalla moglie Gu Kailai, a Pechino corsero voci di colpo di Stato e Xi Jinping, alla vigilia della nomina a segretario generale del partito, scomparve misteriosamente per due settimane. Zhou, in quei giorni, chiese che a succedergli come capo della sicurezza fosse proprio l’amico Bo. Ora entrambi sono caduti, vittime di un sisma che non allarma solo la Cina. Chiarire se la nuova leadership della seconda potenza mondiale è animata da fame di giustizia, o da sete di vendetta, non è più un rinviabile dettaglio.