Alessandro Pasini, Corriere della Sera 1/4/2014, 1 aprile 2014
I CONTI DI JUVE E NAPOLI I SOLDI LI SPENDONO BENE
Hanno tutti ragione, come dopo le elezioni. Anche per questo il dibattito — oltre che sviare dal fatto tecnico, come sempre in Italia purtroppo — conduce in un vicolo cieco. Ha ragione Rafa Benitez quando parla dell’incidenza del fatturato, perché tra i 272,4 milioni della Juventus, nona in Europa secondo il rapporto Deloitte 2012-2013, e i 116,4 del Napoli (22°) c’è un abisso. Ha ragione però anche Antonio Conte quando parla di mercato, perché Aurelio De Laurentiis l’estate scorsa ha speso 105 milioni mentre Andrea Agnelli nei tre mercati fatti per Conte ne ha spesi rispettivamente 92,25, 56,85 e 47,3.
Ma ha ancora ragione Benitez perché, se il fatturato non contasse, la Juve non avrebbe la rosa che ha e non starebbe vincendo il suo terzo scudetto di fila. La rosa ampia oltre i giocatori bravi aiuta per le maratone: chi in Italia può permettersi di sostituire Tevez con Osvaldo, tenendo in panchina pure Vucinic? I giocatori bravi senza la rosa ampia funzionano soprattutto per la partita secca: il Napoli insegna. E però ha ragione ancora Conte perché se incidesse solo il fatturato non ci sarebbero più il calcio né lo sport. E allora la Roma (124,4 milioni, 19ª in Europa, sostanzialmente a pari del Napoli) non sarebbe così davanti agli azzurri in campionato. In Premier League il Liverpool (12°, 240,6) non sarebbe in testa davanti a Chelsea (7°, 303,4) e Man City (6°, 314,2), per tacere del Manchester United (4°, 423,8). E nella Liga l’Atletico Madrid (20°, 120) non sarebbe davanti a Barcellona (2°, 482,6) e Real Madrid (1°, 518,9). Non solo: in Champions l’Atletico non avrebbe fatto fuori il Milan (263,5, 10°), il Napoli non avrebbe lottato alla pari di Arsenal (8°, 284,3) e Borussia Dortmund (11°, 256,2) e la Juve non sarebbe uscita clamorosamente contro il Galatasaray (16°, 157).
Com’è chiaro, il dibattito è infinito e sterile, lo prendi e lo tiri dove vuoi, e come in una disputa fra sofisti le argomentazioni sono tutte buone, dunque nessuna prevale. In realtà, le differenze di classifica maturano altrove. Puoi avere un fatturato più alto ma spendere male: il Tottenham con i 100 milioni incassati per Bale è riuscito a creare un mostro perdente; il Napoli coi 60 di Cavani ha ricostruito alla grande. Puoi investire meno ma segnare colpi come Tevez a 9 milioni o Llorente a parametro zero. Puoi spendere di più adesso perché stai lavorando per il domani: tipi come Mertens e Callejon, costati insieme neanche 20 milioni e già ampiamente rivalutati, sono pietre fondanti il futuro. Così, se ci limitiamo al primo anno dei nuovi cicli, i 105 milioni spesi da De Laurentiis per Rafa pesano come i 92 spesi da Agnelli per Conte nel 2011. È vero però che Conte ereditava una squadra da settimo posto e Benitez da secondo. E così si ritorna da capo..
Casomai, allora, i problemi del Napoli sono altri. In campo, è la mancanza della cosiddetta «mentalità», che i contiani possiedono in quantità industriale: se sai battere Juventus, Roma, Fiorentina, Inter, Milan (e Borussia e Arsenal) ma poi perdi 20 punti con le medio-piccole, c’è un’evidente lacuna tattica e mentale su cui dover lavorare in allenamento. Fuori dal campo, è la difficoltà a valorizzare un bilancio da anni in attivo e a sfruttare potenzialità immense. Andare al San Paolo — un impianto comunale fatiscente, inadatto, ai limiti del civile (domenica persino con i bagni chiusi) eppure abitato da una tifoseria che ne potrebbe fare un Anfield all’italiana — è un’esperienza deprimente. Che cosa sarebbe invece il Napoli con un’arena stile Juve e relativi indotti «spirituali» ed economici?
Su questo De Laurentiis e Benitez hanno l’unica ragione indiscutibile nel dibattito. Ma da qui a farne la spiegazione di un gol sbagliato col Sassuolo di turno passano oceani. «Non ci lamentiamo più, sennò rischiamo di fare la figura dei rosiconi», ha detto il presidente domenica dopo la consueta filippica. Giusto. Solo così si rinforza un percorso di crescita e di sfida (da ricchi) ai più ricchi. Lui, ottimo imprenditore di successo residente negli Stati Uniti, terra di opportunità e «self made men», dovrebbe saperlo bene.