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 2014  aprile 01 Martedì calendario

I TESSILI E L’AUMENTO ANTI MADE IN ITALY


Una volta lo si sarebbe definito un «falco». I tempi però sono cambiati e Matteo Cavelli, 43 anni, imprenditore lombardo e presidente della TessiliVari (una piccola associazione che aderisce a Confindustria) si può catalogare tra coloro che vogliono «disintermediare» il rapporto datori di lavoro/dipendenti. Tutto comincia con il contratto nazionale di lavoro del Sistema Moda, cugini maggiori della Tessilvari e una delle associazioni confindustriali di punta. Tradizionalmente il documento firmato da loro veniva di fatto replicato anche dai presidenti di TessilVari, stavolta no. L’aumento di 118 euro medi nei tre anni e la concessione di un bonus di 250 euro annui per i lavoratori delle aziende senza contratto integrativo hanno mandato su tutte le furie Cavelli. «La mia associazione è fatta di 1.500 piccole imprese di accessori per l’abbigliamento — racconta —, producono tutti rigorosamente in Italia ma non riuscirebbero mai a far fronte a quegli aumenti. Capisco la logica di Sistema Moda, che in questo modo ha regolamentato anche l’attività degli addetti dei negozi monomarca, ma non è la nostra». I sindacati di categoria aderenti a Cgil-Cisl-Uil ovviamente non la pensano allo stesso modo e vista l’aria sono scesi sul piede di guerra rompendo le trattative e esercitando pressione sulle aziende di TessiliVari che hanno bisogno di continuità nella produzione. Molte delle aziende che fanno capo a Cavelli fanno cassa integrazione e negli stabilimenti del presidente, a Busto Arsizio e Como, dove prima lavoravano 130 addetti adesso ne sono rimasti 60. Per replicare al sindacato allora Cavelli ha preso carta e penna e scritto una «lettera aperta» ai lavoratori.
«È inutile dare soldi in più se poi si fanno chiudere le fabbriche», sostiene il presidente che chiede ai dipendenti di rinviare gli aumenti, maggiore flessibilità, modifica dei periodi di ferie senza ridurle e incremento dei contratti a termine. In cambio è disposto a dare premi alla presenza e a redistribuire ai lavoratori parte di quanto si risparmierà a fronte di una riduzione delle tasse sul lavoro. «Se cambierò idea davanti agli scioperi? Li proclamino pure, penso che saranno in pochi a farli».