Giuliana Ferraino, Corriere della Sera 1/4/2014, 1 aprile 2014
RISPARMIO E CONSUMI COME CAMBIA LA VITA CON I PREZZI CONGELATI
MILANO — La caduta dei prezzi, in teoria, dovrebbe essere una buona notizia per le famiglie, perché beni e servizi costano meno. Ma quando la frenata diventa così forte da avvicinarsi a zero e si prolunga nel tempo, nessuno si rallegra. Al contrario, cresce il rischio di deflazione, che si verifica quando i prezzi continuano a diminuire fino a diventare negativi, con risultati catastrofici per tutti.
«L’orco deve essere combattuto con fermezza», ha messo in guarda qualche tempo fa, Christine Lagarde, direttore del Fondo monetario internazionale, tra i pochi leader a indicare nella deflazione uno dei pericoli più seri per la ripresa dei Paesi avanzati durante l’ultimo World Economic Forum a Davos. E qualche giorno fa perfino un falco come Jens Weidmann, presidente della banca centrale tedesca, ha aperto alla possibilità che la Bce possa ricorrere a misure non convenzionali, come l’acquisto di titoli del debito pubblico e di obbligazioni private, per contrastare lo spettro della deflazione. La storia ci ha insegnato quanto i tedeschi abbiano paura dell’inflazione, ecco perché l’apertura della Bundesbank riflette un momento assai critico per l’economia europea. Come confermano le stime preliminari, che segnalano un’inflazione media in discesa allo 0,5% per l’eurozona a marzo, rispetto allo 0,7% di febbraio e allo 0,4% per l’Italia, dallo 0,5% dil mese precedente.
Come si vive quando l’inflazione è così bassa da avvicinarsi quasi a zero? Partiamo dai titoli di Stato, l’investimento preferito dei risparmiatori italiani. I rendimenti reali salgono, perché la remunerazione è calcolata sottraendo il valore dell’inflazione al rendimento nominale. E lo stesso discorso vale anche per le altre obbligazioni. La bassa inflazione, però, fa salire anche i costi di chi ha un debito, perché aumentano gli oneri per gli interessi colpendo, ad esempio, le rate dei mutui. Il ragionamento vale anche per gli Stati molto indebitati. I tassi di inflazione vicini a zero o negativi fanno aumentare il rapporto tra debito e Pil, rompendo uno dei vincoli del «Fiscal compact». Una situazione non augurabile per un Paese come l’Italia, che ha già un debito pubblico pari al 132,6% del suo prodotto interno lordo. E che dovrebbe imporre nuove manovre per ridimensionarlo.
Anche per i risparmiatori e le famiglie il vantaggio teorico di fare la spesa a buon mercato e di ottenere, per effetto della rivalutazione dei bond a tasso fisso, remunerazioni più alte sugli investimenti però ha vita breve. Se i prezzi scendono troppo, calano i ricavi delle imprese, e quindi le aziende potrebbero decidere di ridurre la produzione tagliando gli investimenti e l’occupazione, mentre le imprese più deboli potrebbe addirittura chiudere. La disoccupazione salirebbe e i consumi scenderebbero ulteriormente, con il rischio di innescare una spirale negativa che si autoalimenta e finire in deflazione. Uno scenario non molto attraente in un Paese come il nostro che ha già un tasso di disoccupazione al 12,9% con oltre il 40% di giovani senza lavoro. Se l’inflazione è bassa e i prezzi nominali tendono a non diminuire, inoltre, diventa più difficile il riaggiustamento dei prezzi relativi, per guadagnare competitività e far ripartire l’economia.
La situazione, però, è sgradita anche alle banche centrali, perché spunta le armi alla politica monetaria: quando una banca centrale porta a zero i tassi di interesse nominali a breve termine, il tasso reale è dato dalla differenza del tasso di inflazione, normalmente un numero negativo. Ma se l’inflazione è zero, allora anche il tasso di interesse reale è zero e quindi la banca centrale ha meno leve per stimolare l’economia.