Fabrizio Massaro, Corriere della Sera 1/4/2014, 1 aprile 2014
MILANO —
Il 31 marzo 2013 per il Mps è l’inizio di una nuova storia dopo oltre 500 anni. Nuova perché il controllo non è più della Fondazione (e dunque della città) che fino a inizio marzo ne aveva il 31,4% e oggi ha appena il 5,7% destinato a ridursi ancora, ma in mano a fondi d’investimento stranieri.
Ieri Fintech Advisory inc, veicolo Usa controllato dal finanziere messicano (ma attivo in Argentina) David Martinez Guzman, e Btg Pactual, società di investimento brasiliana, hanno rilevato per circa 180 milioni (pari a 0,2375 per azione) dalla Fondazione Mps rispettivamente il 4,5% e il 2% di Montepaschi e hanno stretto un patto di sindacato con Palazzo Sansedoni per il 9% complessivo, quota che resterà anche dopo l’aumento di capitale di metà maggio da 3 miliardi necessario per ripagare i Monti bond. All’annuncio il titolo Mps è schizzato anche del 10% per chiudere a 0,265 euro, +4,87%, con l’8% della banca passato di mano.
Con il patto — che deve ancora ricevere il via libera dal Tesoro e della Banca d’Italia — si crea quella compagine di «soci stabili» che l’ente presieduto da Antonella Mansi si era data come mandato, insieme con la salvezza dell’ente. La permanenza dei due fondi dentro Mps è innanzitutto dettata dal vincolo di permanenza (lock-up) previsto dal patto. Sarà comunque la ricapitalizzazione a scrivere la definitiva mappa dell’azionariato: se restassero gli attuali equilibri, il patto Fintech-Btg-Fondazione sarebbe in testa, seguito dal fondo americano BlackRock che ha 8,5%, e al 3,2% circa dalla francese Axa. Il fronte italiano è rappresentato dall’1% residuo della famiglia Aleotti e da Centro Italia e Unicoop Firenze (poco più del 2% totale).
Siena dice dunque definitivamente addio al controllo sulla banca, dopo anni al 51% — soglia considerata a lungo come intoccabile e per difendere la quale l’ente si è indebitata per oltre 1 miliardo. La Fondazione adesso potrebbe esprimere nel board un consigliere, se previsto nel patto (che sarà reso noto entro venerdì). La Fondazione punta a mantenere solo il 2,5% sindacato: «È l’unico lusso che ci possiamo permettere», dice Mansi, «visto che la quota non darà dividendi per molto tempo. Sono contenta di questo risultato. Se ci credevo? Me l’avessero chiesto a novembre, avrei detto di no. Da febbraio direi di sì, perché stavamo lavorando in questa direzione. Ora la Fondazione è salva».
Appena quattro mesi fa il destino della Fondazione sembrava segnato: il titolo era precipitato a 0,17 euro paurosamente vicino ai 0,12 euro, soglia alla quale le banche creditrici per 340 milioni residui avrebbero escusso tutto il 33,4% di Mps in mano alla Fondazione. Per questo l’ente decise di guadagnare tempo votando all’assemblea del 28 dicembre per lo slittamento a maggio dell’aumento che il presidente di Mps Alessandro Profumo e il ceo Fabrizio Viola volevano far partire a fine gennaio. Da allora ha messo in campo una serie di vendite, compreso il collocamento del 12% (di cui il 5% almeno a BlackRock) di metà marzo, avvenuto dopo un balzo del titolo di oltre il 30% finito nel mirino di Consob e Guardia di Finanza per sospetta manipolazione del mercato.
Dopo le vendite l’ente si ritrova con 400 milioni liquidi e nessun debito, a parte 90 milioni di impegni verso gli enti locali. Le erogazioni sul territorio saranno dunque limitate, per forza di cose. Il sindaco Valentini pare consapevole: «È stata una delle più grandi privatizzazioni italiane, fatta nostro malgrado. Siena è diventata una città normale. L’assistenzialismo che ci ha fatto anche tanto male è finito».
Fabrizio Massaro