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 2014  marzo 31 Lunedì calendario

PALUDE CONFINDUSTRIA CON I VERTICI DI LOTTA E LA BASE DI GOVERNO


La Confindustria si è capovolta. Un tempo era la base, quella dei piccoli imprenditori irrequieti, che doveva essere tenuta sotto controllo perché l’indole protestataria e rivendicativa non prendesse il sopravvento. Oggi è il suo vertice, il suo presidente Giorgio Squinzi in particolare, che gioca d’istinto sul terreno della politica. Non è più il tempo della Confindustria governativa dell’epoca di Gianni Agnelli, della prima Repubblica, del proporzionalismo puro. Questo - all’alba della terza Repubblica - è il tempo di una Confindustria stop and go. Ma anche “un po’ e un po’”: un po’ a favore del governo di turno, un po’ contro; un po’ con i sindacati, un po’ contro.

Con uno scollamento crescente, da una parte, tra Viale dell’Astronomia, sede romana dell’apparato confindustriale, e i territori, le categorie, la base. E dall’altra con una tendenza al disincanto, al distacco, al vecchio vizio della borghesia italiana di rinchiudersi nel proprio egoismo e non partecipare più. «È incomprensibile perché Squinzi faccia così, perché si infili nelle polemiche politiche con Renzi sulla Merkel o su cose simili. Il nuovo governo può essere un’opportunità per noi», ci dice dietro garanzia dell’anonimato un importante esponente confindustriale del nord. Perché le critiche in Confindustria (in questo non è cambiata) non si fanno nei luoghi deputati (il Comitato di presidenza, il Direttivo, la Giunta) ma nei corridoi, nelle pause delle riunioni, fuori dai convegni che sono diminuiti solo “un po’”. Eppure bisogna cercare di capire qual è la strategia del presidente della Confindustria che resta ancora tra le lobby più potenti del Paese.
Squinzi dice di avere simpatia per Renzi. Ma il presidente del Consiglio non ricambia infilandolo nella «palude» insieme a Susanna Camusso, segretario generale della Cgil. La scintilla, a quanto pare, non è scattata nel lungo incontro che hanno avuto in un ristorante romano subito dopo l’elezione di Renzi alla guida del Pd. Poi si sono incrociati allo stadio per Fiorentina-Sassuolo. Nulla più. Dopo il bilaterale italo-tedesco allargato agli industriali, il premier aveva parlato di un rapporto positivo con la Cancelliera Angela Merkel. Squinzi, intervistato dal governatore della Lombardia, Roberto Maroni, lo ha smentito: «Devo sfatare il clima idilliaco descritto. La Merkel non ci ha accolto a baci e abbracci». Più che un incidente diplomatico con il presidente Renzi. Che pure i confindustriali avevano voluto, dando improvvisamente il benservito all’esecutivo di Enrico Letta che peraltro avevano sostenuto nel nome della governabilità. Stop and go. A favore dei governi, ma subito dopo contro, insomma. Su questioni politiche più che su rivendicazioni specifiche.
Una tecnica già sperimentata durante la presidenza di Emma Marcegaglia, ma che si è poi affinata con Squinzi. Non era mai successo che un presidente degli industriali criticasse un governo sostanzialmente appena insediato. Quasi una opposizione preventiva, per quanto successivamente qua e là corretta. Così che non è passata inosservata l’elegante presa di distanze del presidente di Assolombarda (la più influente associazione territoriale), Gianfelice Rocca: «I titoli di testa di Renzi sono quelli giusti e mi sembra che ci sia una gran voglia di fare. Renzi ha delle difficoltà e per questo il supporto è importante. In questo momento dobbiamo sostenere chi cerca di cambiare il Paese». Una posizione, e un linguaggio, nel solco della tradizione confindustriale. E non è un caso che Rocca appaia oggi il candidato più forte alla successione (nel 2016) proprio di Squinzi che a maggio otterrà la conferma per il secondo biennio, con probabili mini-ritocchi alla squadra. Dovrebbe uscire solo Paolo Zegna, delegato all’ internazionalizzazione, già in squadra con la Marcegaglia.
Sulle posizione di Squinzi, che passa molto tempo fuori dall’Italia in giro per gli stabilimenti Mapei nel mondo, pesano senza dubbio le chiavi di lettura, le analisi, i suggerimenti del suo consigliere politico Francesco Fiori, personaggio chiave nel ristretto “cerchio magico” squinziano, del quale fanno senz’altro parte la famiglia, in particolare la moglie Adriana che ha un ruolo di primo piano in azienda, il portavoce Fabio Minoli, e un po’ più defilate Marcella Panucci, direttore generale che Renzi avrebbe voluto al governo al posto di Federica Guidi, e Antonella Mansi, vicepresidente con la delega all’organizzazione interna. Fiori, già assessore regionale Pdl in Lombardia (è indagato per peculato nell’inchiesta sulle spese pazze al Pirellone) è un ex democristiano approdato in Forza Italia nelle cui liste è stato anche eletto al parlamento di Strasburgo. Poi è stato trombato. Ora è il braccio destro di Squinzi. Non proprio amato dagli altri inquilini del settimo piano di Viale dell’Astronomia. E da Forza Italia viene pure Minoli che è stato tra i promotori milanesi del partito-azienda berlusconiano e poi anche parlamentare. Sono tanti indizi che possono aiutare a comprendere la linea di Giorgio Squinzi. Tanto che proprio dopo il “caso Merkel” in contemporanea con la “provocazione” di spostare l’head quarter della Mapei in Svizzera per colpa di una burocrazia asfissiante, a schierarsi con Squinzi sono stati Silvio Berlusconi, e poi Renato Brunetta, Mariastella Gelmini, Anna Maria Bernini e via dicendo. Un caso? Difficile pensarlo. È la linea che strizza l’occhio all’opposizione e che genera disorientamento tra i piccoli innanzitutto, che non disprezzano il programma renziano di sostenere la domanda interna.
Perché il governo Renzi finora non ha trattato male le imprese. Il decreto lavoro accoglie molte delle richieste industriali. E infatti fa infuriare i sindacati e la sinistra del Pd. La riduzione dell’Irpef aiuta la domanda interna, e dunque, le piccole imprese con un mercato nazionale. Proprio per questo il presidente della Confindustria Veneto, Roberto Zuccato, aveva detto che nel derby Irap-Irpef lui, a titolo personale, avrebbe scelto la seconda. È stato zittito nel Direttivo confederale dove è stata chiesta compattezza sulla linea. Il pacchetto scuola, insieme al programma di risanamento del territorio aiuta le piccole imprese dell’edilizia massacrate dalla lunga recessione. Al ministero dello Sviluppo si sta lavorando per abbassare del 10 per cento il costo dell’energia per i piccoli. Entro settembre saranno pagati i debiti pregressi della pubblica amministrazione nei confronti delle aziende. Di misure ostili alle imprese comunque non se ne vedono. Squinzi dice che questo non è un piano industriale, che servono i fatti, che per ora Renzi sta ancora facendo i compiti a casa. Sbrigatività e un’impazienza difficile da comprendere.
Secondo Giuseppe Berta l’industria è ormai «sottorappresentata» nel dibattito pubblico. E che questa è una colpa di Confindustria e sindacati. L’orgoglio della manifattura si celebra nei convegni, poi quando è il momento di decidere si preferiscono i compromessi, le logiche della geopolitica. Come nel caso della scelta del nuovo presidente dei Giovani. Sarà Marco Gay, piemontese. Un piccolissimo imprenditore della consulenza informatica. Una tipico membro di quella «generazione start up», come la chiama Alberto Orioli nella sua storia fresca di stampa sui Giovani confindustriali (“Figli di papà a chi?”). Tutti apprezzano la capacità di Gay ma in molti osservano che non è un industriale in senso classico. La sua scelta serve anche a dare peso al nord-ovest ed equilibrare il potere del Veneto che si presenta con Alberto Baban alla guida della Piccola Impresa. Equilibrismi, giochi di potere in una grande associazione che sta perdendo smalto. Che vive con affanno - come ha rilevato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco - la nuova stagione della modernizzazione.
La diaspora delle imprese non c’è stata nonostante la crisi. Nel 2013 mancano all’appello 600 imprese dai dati delle iscrizioni territoriali. Quasi un calo fisiologico. Ci sono aree industriali in sofferenza, come per esempio Vicenza, che è stata scavalcata da Verona per numero di iscritti, e Mantova. Il tasso di morosità cresce ma, per ora, non mette a rischio i conti di Confindustria. Che però nel 2013 ha fatto fatica a chiudere in pareggio. Per il terzo anno consecutivo mancano i dividendi del Sole 24 Ore, un tempo la gallina dalle uova d’oro per il sistema. Anche Confindustria è diventata più povera. Non solo di idee, a quanto pare.