Elisa Manisco, la Repubblica 31/3/2014, 31 marzo 2014
LA CARICA DELLE TATE ITALIANE “COSÌ SOSTITUISCONO LE STRANIERE”
ROMA.
Italiane, sempre più giovani e spesso con una laurea nel cassetto impossibile da usare. È questo l’identikit delle nuove collaboratrici domestiche ai tempi della crisi. Tate, colf, babysitter, soprattutto, ma anche badanti che in alcuni casi rinunciano a una carriera da dottore per rimboccarsi le maniche e “andare a servizio” come si diceva un tempo. Un po’ come succede ai giovani laureati che si arrabattano tra mille lavoretti nel film campione d’incassi “Smetto quando voglio”. È il dato che emerge anche da un’indagine realizzata dall’agenzia di recruiting personale domestico “Stella cadente”. Su più di mille candidature arrivate, infatti, più della metà (il 55%) è rappresentato da nostre connazionali.
La tendenza è in atto già da tempo — l’Inps ha già rilevato che le italiane impiegate nel settore dei lavori domestici sono aumentate del 20% dal 2008 — ma negli ultimi anni ha subito un’accelerazione repentina. Secondo una recente indagine del Censis realizzata per l’associazione di categoria Assindatcolf, a Roma per esempio le assunzioni di dipendenti domestiche italiane sono triplicate: se nel 2011, rappresentavano il 3,73% del totale, nel 2012 sono aumentate fino all’8,62% per arrivare nel 2013 al 9,26%. Un dato che andrebbe come minimo raddoppiato visto che il 53,1% delle nostre connazionali lavora in nero. Allo stesso tempo diminuisce il numero di lavoratori domestici stranieri (-5,2% nel 2011). Gli italiani che rubano il lavoro agli immigrati? In un certo senso sì, e non solo nel settore delle cosiddette professioni di cura.
Secondo uno studio della Fondazione Leone Moressa questa tendenza riguarda tutti i settori lavorativi a bassa specializzazione, tradizionalmente monopolio degli immigrati. Tra i venditori ambulanti, ad esempio, (+2,3% gli italiani nell’ultimo anno), ma anche nel personale non qualificato addetto alla cura degli animali, i vasai (+3% italiani), i soffiatori e i pescatori. Le professioni maggiormente colpite da un ingresso di italiani a fronte di una consistente uscita di stranieri? Il personale non qualificato nelle miniere e nelle cave (qui gli italiani sono cresciuti nel 2012 dell’11,5%), i conduttori di impianti per la fabbricazione della carta, gli operai addetti alla pulizia degli edifici (italiani +9%) e gli addestratori di animali (+5,4%). Tutti mestieri abbandonati dai nostri connazionali in tempi migliori e ora rimessi prepotentemente in agenda da una crisi che si fa sempre più cattiva. Nel caso delle nuove colf, baby sitter e badanti italiane che si sostituiscono alle colleghe rumene, albanesi e marocchine, il profilo poi è molto preciso.
«La maggior parte sono madri di famiglia con mariti esodati o in cassa integrazione, oppure disoccupate che provano a reinventarsi dopo la chiusura delle aziende in cui lavoravano, soprattutto nel Nord Est industriale messo in ginocchio dalla crisi», racconta Teresa Benvenuto, segretario generale di Assindatcolf. Sempre secondo la Fondazione Leone Moressa l’età della lavoratrice tipo è di 46 anni. «Ma nelle grandi città il quadro cambia», continua la Benvenuto. Qui infatti l’età delle italiane neo-colf si abbassa e aumenta il livello di scolarizzazione.
E sempre di più sono donne che dopo aver appeso la laurea al muro, e in alcuni casi anche un master, cominciano a vedere il lavoro domestico retribuito come l’ultima spiaggia. È la storia di Graziana V., ad esempio: pugliese trapiantata a Roma, 40 anni e una laurea in scienze naturali che ha fatto l’orgoglio di mamma e papà, ma è servita a poco altro. Da cinque anni fa la baby sitter: «Lavoro part time 3-4 ore, al giorno», racconta. «Dopo essermi laureata, ho cercato un impiego fino allo sfinimento, ma niente. Questo lavoro non sarà gratificante, ma è una sicurezza. Ma non mi dispiacerebbe neanche fare la colf». Graziana è in buona compagnia: secondo Acli Colf le iscrizioni ai corsi di formazione negli ultimi tempi sono più che raddoppiate.
Ma adattarsi non è facile per tutte «Da un punto di vista pratico questi mestieri non presentano grandi difficoltà», continua la Benvenuto. «Inoltre va detto in questo settore l’offerta supera sempre la domanda, nonostante la crisi, ma il problema vero è un altro ed è psicologico». Ovvero? «Molte donne vivono questo cambiamenti di prospettiva con molto disagio. A differenza delle loro colleghe immigrate vedono questi lavori come una soluzione temporanea a un problema immediato, da abbandonare il prima possibile, non certo come una possibile e scelta di vita».