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 2014  marzo 31 Lunedì calendario

LA LEGGENDA FRANCESCANA DI ANTOGNONI IL MAGNIFICO


Ora che Giancarlo Antognoni compie 60 anni è tempo di restituirgli quello che non gli abbiamo mai riconosciuto: la grande bellezza della sua diversità. Ci sono fuoriclasse che diventano di tutti dovunque vadano, a cui basta apparire per vincere, come Baggio o Totti. Altri che hanno passato il tempo alzando bandiere piene di gloria, come Del Piero o Rivera. E percorsi silenziosi come quelli di Antognoni, sempre fuori dall’occhio della grande stampa, sempre guardato da lontano perché chiuso dentro le mura di Firenze, fuori dagli interessi delle copie da vendere, fuori dal dovere di essere difeso, anzi, quasi uno strano reprobo per la riluttanza a cambiare squadra. Antognoni è stato invece un giocatore unico, con una classe non inferiore a Rivera e una completezza atletica che nessuno nel suo ruolo ha mai trovato insieme. Non era un fantasista, non era un regista. Era una splendida mezzala totale con una tecnica che nessuno ha mai avuto. Non era un eroe, non era un leader, era un predestinato che ha sempre voluto cavalcare a metà la sua fortuna. Non si è mai mosso da Firenze, questa per il calcio è stata la sua vera colpa. È stato ripagato come nessuno dalla città. Firenze non ha mai amato i suoi profeti, sempre impaurita dalle incognite del darsi. Si è identificata nelle sue cose (il David, la cupola del Brunelleschi), mai negli uomini. Dante fu cacciato e mai riammesso. Machiavelli fu messo in carcere. Lorenzo aveva più nemici che amici. Antognoni è stato anche in questo l’unico, è riuscito a essere sempre amato e mai discusso. Ha rappresentato la costanza di una differenza che nel calcio non riconosceva più nessuno. Questo abbraccio che dura ancora adesso ha finito col farlo rimanere marginale al grande calcio. È difficile farlo credere adesso, cambiare la sua leggenda quasi francescana, ma non abbiamo mai avuto un giocatore così. Ne abbiamo avuti altri, forse migliori, ma ripetibili. Di Antognoni non ce n’erano stati prima e non ce ne sono stati dopo. Aveva caratteristiche universali, gioco tondo e verticale, dribbling secco e lungo, anche distrazioni certo, anche una personalità che amava mettere in mano agli altri. Ma nessuno ha mai interpretato meglio le basi del calcio, la ricchezza della sua semplicità, l’infinità di soluzioni che da un pallone si possono trovare.
Debuttò a Verona nell’ottobre del ’72. La Fiorentina lo aveva acquistato su pressione di Liedholm, alla fine lo pagò due miliardi di lire, la cifra più alta mai pagata per un ragazzo che non aveva ancora giocato in A. Antognoni non guardava il pallone, la testa sempre alta a cercare il gioco. Essendo timido, aveva quasi timore di far vedere quanto fosse bravo. Durante gli allenamenti si divertiva a inventare numeri con la palla che passavano subito di voce in voce. Decine di volte, prima delle partite con l’Italia, i più famosi giocatori avversari bussavano allo spogliatoio e chiedevano di vedere quel numero. Se era vero. E lui lì, rosso di pudore, che li ripeteva e li spiegava, «ma è semplice» diceva sempre. È stato il più europeo dei calciatori italiani. Oggi sarebbe decisivo in ogni squadra.
Di squadre invece Antognoni ne ha avute una sola. Ha avuto richieste da Juve, Inter, Milan, Roma, anche Real Madrid, ma non ha mai accettato. Coerenza, forse anche un po’ di paura, il senso concreto di aver trovato il suo filo rosso e non avere altro da chiedere. Forse è questa mancanza di superbia che gli ha sempre fatto camminare la sfortuna accanto. Una volta, nell’autunno dell’81, quasi morì in campo. Martina il portiere del Genoa gli franò addosso in uscita colpendolo con il ginocchio alla testa. Antognoni cadde come una foglia, fu immediata la coscienza che qualcosa di molto grave stava accadendo. Non respirava più. Non dimenticherò mai il silenzio assoluto, improvviso, innaturale dello stadio. Si sentivano le parole dei medici in campo. Tutti si mettevano le mani nei capelli. Poi un piccolo uomo in tuta andò verso il centro del campo e si mise a gridare: «respira, respira». E ci fu un lunghissimo applauso, un inquieto, paradossale applauso alla vita che era tornata.
La sfortuna è stata altre volte più leggera ma ugualmente costante. Ai Mondiali di Spagna Antognoni si fece male in semifinale, un taglio sul piede, ma gli bastò per non giocare la finale. Due anni prima, agli Europei in Italia, quando erano ancora molti i suoi critici, battemmo l’Inghilterra a Torino 1-0. A tutti sembrò un Antognoni normale, da 6 in pagella. Quando cominciò la conferenza del tecnico inglese le prime parole furono queste: «Voi avevate Antognoni, troppo forte per Wilkins e per tutti noi». Corremmo cambiare il voto in pagella, ma s’infortunò di nuovo. Era una bellezza continuamente interrotta.
È solo strano che adesso che ha avuto Firenze non abbia più la Fiorentina. È fuori da 12 anni, un rapporto mai nato con la nuova proprietà. Riprendere quel rapporto sarebbe il vero regalo di compleanno .
Mario Sconcerti