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 2014  marzo 31 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LO SCONTRO SUL SENATO



Pietro Grasso ‏@PietroGrasso 2 min

Ho espresso la mia opinione ma sono e resto superpartes. Non ho mai difeso la casta e voglio il cambiamento: http://goo.gl/MWGEV9

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Il consiglio dei ministri ha dato il via libera al disegno di legge costituzionale che prevede tra l’altro la riforma del Senato, ovvero la sua trasformazione in camera non elettiva composta da rappresentanti di Regioni e Comuni. La riunione dell’esecutivo è durata poco meno di due ore ed era stata anticipata da alcune polemiche per prese di posizione critiche o contrarie all’interno della stessa maggioranza. «Mettiamo la parola fine ad un dibattito 30ennale» ha commentato a caldo il premier Matteo Renzi. «Voglio essere l’ultimo presidente del consiglio ad avere ricevuto il voto di fiducia dall’aula di Palazzo Madama» ha poi aggiunto ricordando i quattro paletti su cui si fonda la riforma: nessuna voce in capitolo della nuova assemblea sulla fiducia al governo (che dovrà ottenerla dunque solo dalla Camera), nessuna voce in capitolo sul bilancio (anche questo sarà prerogativa di Montecitorio), nessuna elezione diretta dei senatori (il plenum sarà composto da presidenti e consiglieri regionali e dai sindaci dei principali comuni) e nessuna indennità per i membri, che avendo altri incarichi istituzionali possono già contare su uno «stipendio». Il ddl costituzionale prevede anche una revisione del Titolo V della Costituzione, con il riordino della ripartizione di competenze tra Stato e Regioni; e l’abolizione del Cnel, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro («lo considero solo un antipasto al processo di semplificazione e taglio che arriverà nella prossima settimane alla pubblica amministrazione»). Renzi ha detto di auspicare che almeno in prima lettura il ddl possa essere approvato prima delle elezioni europee del 25 maggio.
Le novità
La nuova assemblea di Palazzo Madama si chiamerà Senato delle autonomie. Resta dunque il riferimento alla denominazione originaria, che in un primo tempo si era pensato di abolire, ma viene enfatizzato il ruolo degli enti locali. Sono poi state definite le linee con cui sarà determinata la composizione: i senatori saranno 148, compresi i 21 tra senatori a vita e personalità nominate dal capo dello Stato. «Il numero di rappresentanti del Senato sarà uguale per ogni Regione - ha sottolineato il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi -, ma c’è disponibilità a discuterne, purché si mantenga il dimezzamento del numero dei membri».
«Ce la faremo»
«I nomi e i cognomi di chi vuole cambiare il cambiamento li dirò alla fine della votazione - ha poi commentato il presidente del Consiglio -, ma saranno minoranza al Senato e nel Paese. Credo che ce la faremo». E anche sulla tenuta del Pd, incalzato dai giornalisti, Renzi ha ostentato sicurezza: «Io non sono preoccupato». Quanto a Silvio Berlusconi, che in mattinata aveva evocato un mancato rispetto degli impegni da parte del Partito democratico per lo stop imposto alla legge elettorale (onde, appunto, dare priorità alla riforma del Senato), Renzi ha ricordato che al Nazareno tra i due leader era stato concordato non solo l’Italicum, ma un intero pacchetto di riforme comprendente, appunto, il superamento del bicameralismo. «Il Pd - ha tagliato corto - rispetterà l’impegno e sarà coerente». Il premier ha voluto infine replicare al capogruppo azzurro Paolo Romani, che nei giorni scorsi aveva preconizzato che per il Pd «al Senato sarà un Vietnam»: «Probabilmente ha visto troppi film».

GRASSO: NON DIFENDO LA CASTA
Il presidente del Senato Piero Grasso non ci sta. «Chi mi accusa di «difendere la Casta» probabilmente dimentica che sono stato l’unico a tagliare del 50 per cento il mio compenso, le spese del Gabinetto di Presidenza e di quelle accessorie». Lo scrive il presidente del Senato Piero Grasso in un lunghissimo post sul suo profilo Facebook in merito alle «reazioni alla intervista sul Senato del futuro».
Pubblicazione di Pietro Grasso.
Poi Grasso, non nasconde che «leggendo le reazioni alla mia intervista su come immagino il Senato del futuro non posso che essere rammaricato». Poi il presidente del Senato ricorda: «ho iniziato un anno fa questa avventura in politica con il preciso obiettivo di contribuire a cambiare in meglio il nostro Paese». «Sono stato eletto - rivendica i- per rappresentare il cambiamento e per contribuire a realizzarlo: dispiace essere percepito come difensore di uno status quo che ho sempre ritenuto inaccettabile». Non solo: «Qualcuno mi accusa di “voler restare attaccato alla poltrona”: ciò non solo non corrisponde al vero ma - puntualizza Grasso - è anche errato dal momento in cui le riforme che questo Parlamento dovrà necessariamente approvare avranno valore dalla prossima legislatura, nella quale, certamente, non avrò lo stesso mandato di oggi».

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Matteo Renzi non ha intenzione di fare dietrofront sulla riforma del Senato e dopo avere ribadito domenica che «la musica deve cambiare», nell’intervista al Corriere della Sera si dice convinto che il disegno di legge del governo verrà presentato (al telefono con Rtl 102.5 ribadisce: «Io mi gioco la faccia, se non si cambia la politica farà a meno di me») e che oggi sarà tranquillamente ufficializzato come da programma: «Scendo io in sala stampa a Palazzo Chigi, con i ministri, a presentarla». Ma è proprio un ministro, nonché leader di uno dei partiti della maggioranza, Stefania Giannini, segretaria politica di Scelta Civica, a tirare il freno a mano proprio nel giorno in cui si riunisce l’esecutivo per mettere a punto il disegno di legge di riforma costituzionale.
«Dibattito necessario»
«È un po’ inconsueto che sia il governo a presentare una proposta di legge su questo tema - puntualizza Giannini in un’intervista a Radio Città Futura - . Serve che il Parlamento ne discuta per ritoccare e migliorare alcuni aspetti». L’esponente di Scelta Civica invita il premier a non avere fretta («anche se non credo che il verbo aspettare appartenga al vocabolario del presidente del Consiglio») e sottolinea la necessità di «qualche momento di riflessione e maturazione in più». Insomma, meglio «non farne una questione di calendario» e «non confondere l’irrinunciabile dibattito parlamentare con la manfrina di chi non vuole cambiare le cose».
I malumori nel Pd
La presa di posizione di Scelta Civica si va dunque ad aggiungere agli altri mal di pancia interni, in particolare alle critiche sollevate dal presidente del Senato, Piero Grasso, che in più occasioni ha esternato i propri dubbi sulla cancellazione dell’attuale assemblea elettiva e la sua sostituzione con una composta di presidenti di Regione, consiglieri regionali e sindaci. Un distinguo pesante, considerato che Grasso è la seconda carica dello Stato, che aveva indotto la vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani ad intervenire ricordargli che essendo lui stato eletto nelle fila del Partito democratico farebbe meglio ad allinearsi alle decisioni della segreteria. Ma anche Grasso, come Renzi, non sembra intenzionato a recedere dalle proprie posizioni. E a questo si aggiunge l’intenzione della minoranza che fa capo a Pippo Civati di presentare un proprio disegno di legge di riforma diverso da quello del premier.
Forza Italia all’attacco
In tutto questo si inserisce l’azione di contrasto annunciata da Forza Italia, che conta di sfruttare le divisioni interne al partito di maggioranza («per il Pd al Senato sarà un Vietnam» ha dichiarato il capogruppo dei senatori azzurri Paolo Romani) per mettere in difficoltà Renzi. Oggi Romani e il suo omologo della Camera Renato Brunetta sono tornati a chiedere che venga data priorità alla nuova legge elettorale, l’Italicum, concordata tra Renzi e Berlusconi e già varata alla Camera che la maggioranza sembra avere accantonato proprio per avviare la riforma del Senato. Una mossa, quest’ultima, voluta in primis dal Nuovo Centrodestra di Alfano, preoccupato che con la nuova legge approvata Pd e FI possano essere tentati da elezioni politiche ravvicinate in cui gli alfaniani avrebbero ben poco da guadagnare.
«Rispettiamo gli accordi»
Anche Silvio Berlusconi ha sentito il bisogno, con una nota, di ribadire il punto: «Noi rispetteremo fino in fondo gli accordi che abbiamo sottoscritto - dice il leader di Forza Italia - e siamo pronti a discutere tutto nel dettaglio, senza accettare testi preconfezionati, ma lavorando insieme per costruire le riforme migliori per il Paese. Abbiamo dimostrato la nostra serietà approvando alla Camera la legge elettorale, che ora vorremmo vedere in aula al Senato quanto prima. Speriamo che le divisioni emerse nel Partito Democratico non affossino il tentativo di modernizzare le nostre istituzioni. La sinistra non scarichi ancora una volta sugli Italiani i propri problemi».
L’agenda non cambia
Ma su una possibile inversione dell’ordine dei lavori non sembrano esserci molti spiragli. «Credo che ci sarà prima la riforma del Senato e poi quella della legge elettorale - spiega il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi , fedelissima di Renzi-. Non sono preoccupata, credo che troveremo un’intesa anche su questo».

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ROMA — Il testo del governo è aperto, recitano come un mantra a Palazzo Chigi. Ma poi aggiungono che non si cambia di una virgola sui quattro paletti fissati da Matteo Renzi per portare all’eutanasia l’attuale assemblea di Palazzo Madama. Sui primi due punti irrinunciabili per il capo del governo, i partiti sono più o meno tutti d’accordo: l’Assemblea delle Autonomie, ciò che resterà del Senato attuale, non voterà più la fiducia al governo né le leggi di bilancio. C’è pieno consenso, dunque, sulla fine del bicameralismo paritario. Tanto da far intravedere su questi punti il traguardo dei 214 voti (due terzi dell’assemblea del Senato), sotto il quale le leggi di revisione costituzionale devono poi sottoporsi alla prova durissima dei referendum confermativi senza quorum.
Sul terzo e quarto paletto, invece, Renzi non avrebbe al momento neanche la maggioranza assoluta dell’aula (161 voti). Stando al testo del ddl costituzionale del governo che ripassa oggi per il consiglio dei ministri (un primo giro c’era stato il 12 marzo), i senatori in carica dovrebbero stabilire che il Senato sarà in tutto e per tutto non elettivo, che i 120-150 rappresentanti dell’Assemblea delle autonomie non rappresenteranno più la Nazione (come i colleghi deputati) ma le «istituzioni territoriali» e che, dunque, i «senatori territoriali» (consiglieri regionali, sindaci di capoluogo di Regione e governatori) non saranno retribuiti perché già stipendiati a livello locale.
È questo il punto cruciale sul quale ci sarà la battaglia che a Paolo Romani, capogruppo di FI, fa venire in mente la giungla e il Vietnam. Renzi si è preparato per affrontare la palude ma dovrà indossare l’elmetto e guardarsi le spalle soprattutto in casa sua. Il pericolo per il premier è incombente perché a breve verrà presentato un ddl costituzionale firmato forse da 20-30 senatori del Pd che, in corso d’opera, potrebbe attirare come una calamita gli 8 di Sc, i 12 di Per l’Italia-Udc, i 6 fuoriusciti del M5S, l’intero gruppo del Ncd (per Gaetano Quagliariello il Senato deve essere elettivo) e anche un’aliquota di FI. Insomma, il fronte trasversale per mantenere il Senato elettivo, seppure ridimensionato, è forte e pure destinato a crescere. La proposta trasversale di mediazione per non scardinare completamente il terzo e il quarto paletto piantati da Renzi è questa: i parlamentari si riducono dello stesso numero ipotizzato dal governo tagliando, però, sia alla Camera (che passa da 630 a 400 deputati) sia al Senato (da 315 a 150 ai quali si aggiungono i 20 governatori).
Tutti i parlamentari, però, continueranno a essere eletti, a rappresentare la Nazione e ad essere retribuiti. Per quanto riguarda, invece, la divisione delle funzioni, il Senato si potrà occupare solo di materia costituzionale ed elettorale, di trattati internazionali, di diritti fondamentali e di commissioni di inchiesta. Alla Camera, che produce leggi su tutte le materie, spetterà infine il sindacato ispettivo (interrogazioni e interpellanze). Sulle funzioni, Renzi e il ministro Maria Elena Boschi (Riforme) sarebbero pronti a cedere anche perché il ddl trasversale in corso di elaborazione non si allontana di molto da quello governativo. Sul Senato dei non eletti, invece, il premier non torna indietro anche se nella titolazione il ddl del governo fa riferimento alla «riduzione del numero dei parlamentari» e non solo dei senatori. E la controprova che al Senato c’è un sostanzioso tentativo esplorativo in atto arriva pure da Vannino Chiti, che nei nuovi assetti del Pd non è certo considerato un estremista anti renziano: «È giusto ridurre il numero dei deputati e dei senatori e superare il bicameralismo perfetto, che deve però rimanere per le modifiche della Costituzione, le leggi che riguardano i diritti umani, i trattati internazionali e le leggi elettorali».
Su un altro punto, poi, si concentrerà al Senato l’ostruzionismo dei grillini che mira a bloccare le aspirazioni di Renzi sul cosidetto «voto a data fissa» dei ddl governativi. Il testo in mano al ministro Boschi, infatti, modifica anche l’articolo 72 della Costituzione prevedendo una corsia preferenziale per i ddl del governo che dovranno essere votati, passati 60 giorni, senza modifiche. I grillini hanno annunciato le barricate: per cui ci potrebbe essere uno stralcio dell’articolo 72 dal testo del governo (come d’altronde suggerito da Valerio Onida sul Corriere). Il risultato Renzi lo otterebbe lo stesso perché, già prima di Pasqua, la giunta del regolamento della Camera (e in parallelo quella del Senato) potrebbe portare in aula una modifica del regolamento che prevede, appunto, anche una corsia preferenziale per i ddl governativi. In cambio, però, di una limitazione del ricorso ai decreti legge e uno spazio garantito per le proposte delle minoranz e.


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Nel mezzo della polemica tra il presidente del Consiglio e Grasso sulla riforma del Senato e l’eliminazione del bicameralismo perfetto, Alan Friedman ci dà una visione internazionale del ruolo del Senato negli Usa, in Francia, Germania e Regno Unito. Con l’aiuto del costituzionalista Michele Ainis, questa puntata dice in modo chiaro e tondo che il Senato non deve avere nessun potere di sfiduciare il governo o votare la legge di stabilità, e nota inoltre che sono tanti i gattopardi del Palazzo che vogliono stoppare le riforme, compresa la trasformazione o abolizione del Senato.

La navetta

In questa puntata, tratta dal best-seller «Ammazziamo il Gattopardo», Ainis parla di un «ping-pong estenuante» come risultato del bicameralismo perfetto: «Uno dei problemi che l’esperienza ci ha regalato è il ping-pong legislativo, si dice la navetta, nel senso che un ramo del parlamento approva una legge, che poi rimbalza sull’altro ramo del parlamento, il quale se corregge in qualche punto quella medesima legge la fa rimbalzare di nuovo alla camera che l’ha approvata per prima, alla quale se di nuovo corregge… insomma, può diventare un ping-pong estenuante».

D’Alema

Parla con Friedman anche Massimo D’Alema, che dice «Io penso che noi dobbiamo andare a un sistema monocamerale, però il modello non è di abolirlo ma di trasformarlo in una sorta di Bundesrat, di camera federale, non elettiva, di persone nominate dalle regioni e dai comuni. Ma che non voti la fiducia al governo, e che quindi abbia un ruolo limitato». Silvio Berlusconi, intervistato da Friedman, nota che i tempi delle riforme Costituzionali, a patto che tutti siano d’accordo, sarebbero lunghi: «Per questi cambiamenti della Costituzione ci voglio non due ma quattro votazioni a distanza di tre mesi l’una dall’altra, si va avanti di un anno o anche più di un anno».