Jolanda Bufalini, l’Unità 29/3/2014, 29 marzo 2014
NÉ TETTO NÉ LEGGE DORMIRE NEGLI ANDRONI DI ROMA
I quartieri dell’Ardeatina, Tor Marancia, Sette Chiese, Caravaggio. Quartieri dormitorio, medio-alti e popolari. Marciapiedi stretti e nessun bar aperto, non c’è anima viva in giro di notte, se si fa eccezione per i fiorai e le disinibite trans di piazza dei Navigatori. Si intuisce un calore confortevole nelle palazzine ma, in strada, non si vedono senzatetto e, persino le chiese, qui, sono inospitali, rese irraggiungibili da cancellate che chiudono sagrato e giardini.
Tutta un’altra storia fra Capitan Bavastro e Giovanni da Verrazzano, vicino a Eataly, dove un tempo stavano gli afghani, nel buco delle fondamenta di un palazzo (che ora è stato edificato), come nel film Buffalo Bill e gli indiani. Contiamo due roulottes, poi, girato l’angolo di via Prospero Alpino, proprio vicino al centro della Acli, stanno accucciati sui cartoni, i ballatoi del palazzo comunale riparano dalla pioggia, prima due poi tre giovani uomini.
Piazzale dei Partigiani. È il Far West. Nei racconti dei senza casa gli episodi di violenza, aggressioni, prepotenze, furti, hanno come teatro la stazione Ostiense: L. romeno, 46 anni, è stato derubato dello zainetto in cui aveva i documenti, M. romeno, 58 anni, che gira in bicicletta, è stato aggredito e derubato nel piazzale. A. italiano, 67 anni, mette il sacchetto con le sue poche cose sotto la testa ma «anche così non sto tranquillo».
San Pietro. Via della Conciliazione, Ospedale Santo Spirito, Porta Angelica, via della Grazia, piazza Risorgimento, ore 22 circa. La densità abitativa sotto i propilei della Conciliazione, nei vani dei portoni, a ridosso delle mura, sulle panchine di pietra, è una vera scoperta, mai avrei immaginato quanta gente trova rifugio all’ombra del Vaticano.
Il 17, 18, 19 marzo ho partecipato come volontaria al primo censimento dei senza dimora a Roma e ho appreso una nuova topografia della città e anche una topografia dei sentimenti. Il censimento è stato organizzato dalla fondazione di ricerca Rodolfo De Benedetti con il patrocinio del Comune di Roma (assessorato al sostegno sociale) e dalla università Bocconi, il proposito è quello di «scattare una fotografia», fornendo elementi utili agli amministratori e alle associazioni di volontariato. L’esperimento è già stato fatto a Milano e a Torino, dovrebbe essere ripetuto periodicamente per fornire un quadro affidabile e indirizzare politiche e servizi. A Roma 1200 cittadini si sono trasformati – dopo un breve corso di formazione – in contatori/rilevatori sulla base di un questionario di 30 pagine, coordinati Protezione civile e da altre associazioni che già assistono gli homeless in strada. Tra i volontari molte ragazze e ragazzi G2, la seconda generazione immigrata, che parlano perfettamente l’italiano e la lingua d’origine, arabo, romeno, spagnolo. Oppure giovani padri di famiglia come Massimo, spinto da un misto di solidarietà e preoccupazione: «Qualche volta penso che basta niente, perdi il lavoro e ti ritrovi per strada, potrebbe succedere anche a me». Disoccupazione, malattia, soprattutto separazione. La rottura con i familiari o la perdita di contatto, per una lite, per vergogna, per insofferenza, per non essere giudicati, per amore della libertà, per orgoglio, per lontananza, è la concausa che si ripete a ogni storia, anche se le storie dei senza tetto sono una diversa dall’altra. Ma un velo copre quel dramma originario. La moglie di P. (romeno) vive vicino a Roma, a Rocca di Papa, con i figli, la moglie di V. (polacco) vive a Fara Sabina, con la bambina, la ex compagna di D. (romeno) vive nel suo paese dove si trova anche il loro figlio, ormai grande. Il velo nasconde le ragioni di quell’essersi bruciati i ponti alle spalle. V. è da molti anni in Italia, parla benissimo e spiega così quello che gli è accaduto: dopo tanti anni di lavoro pesante ero stanco, volevo un po’ di tempo per me. Sono nove mesi che dorme in strada, ora aspetta la cerimonia di santificazione di Karol Woityla, poi deciderà sul da farsi. In questi mesi ha avuto un paio di lavori (è edile) ma non è stato ancora pagato. Anche nella vicenda del romeno P. c’è una lite con i connazionali datori di lavoro che non lo hanno pagato, ogni mattina va allo smorzo sperando in un ingaggio, ma ormai è malato, ha la tosse, dolore ai piedi. Beve molto. Non lo prendono.
Al corso di formazione una ragazza ossessionata dai Tso, pensa che i senza dimora vengano ricoverati in modo coatto. La mia esperienza di cronista dice il contrario, con gli ospedali che riducono letti e ricoveri, il rischio è che non ci si accorga che l’homeless che tutte le sere trova rifugio al pronto soccorso, in quella determinata sera sta veramente male. Però le istituzioni totali, i manicomi prima della rivoluzione di Basaglia, hanno una parte nella nostra storia: Antonio (nome di fantasia) è napoletano e, tecnicamente, non è un senzatetto, ha una pensione e una casa a Napoli. Eppure da decenni vive per lo più in strada, si lava sui treni, mangia frugando negli avanzi dei supermercati: «Buttano una gran quantità di roba buona». Alla fine degli anni Sessanta era un ragazzo ribelle che amava solo la musica, non voleva studiare, non accettava la disciplina del lavoro. Il papà, infermiere al manicomio, ritenne che andava curato, lo acchiappava con l’aiuto dei colleghi e lo rinchiudeva. Così sono iniziate le sue fughe, cosi è diventato vagabondo.
Non ho incontrato volontari provenienti dall’Asia Centrale, eppure, fra chi dorme in strada, afghani, bangladeshi, pakistani, sembrano i più fragili, l’ostacolo della lingua li rende i più solitari e difficilmente raggiungibili. A Borgo c’è un ragazzo dalla pelle olivastra che si è preparato il giaciglio, sui gradini che portano a un sottoscala, un ombrello rosso lo ripara dalla pioggia sottile e fa da paravento agli sguardi estranei. Rifiuta con il sorriso di rispondere al questionario, forse prevale la paura o la difficoltà della lingua.
C’è una parte del questionario elaborato dalla fondazione de Benedetti molto interessante, anche se imbarazzante per l’intervistatore. È quella relativa alla felicità e al grado di soddisfazione per la propria vita. È stata una sorpresa scoprire che gli intervistati rispondevano volentieri a quelle domande così personali e che le risposte erano molto diverse. L’operaio polacco, per esempio, ha dato un punteggio alto a felicità e soddisfazione, guardando alla propria vita passata e presente. Si è detto infelice e non realizzato, invece, l’anziano romeno che ha lasciato la sua ex in patria e che non sente mai il figlio. Tutti, nessuno escluso, gli intervistati respingono l’idea del dormitorio: una caserma, orari impossibili, «ti devi presentare alle 6 del pomeriggio», «appena entri ti obbligano a fare la doccia».
È molto tardi quando Francesco, un commerciante di Borgo, esce dal negozio e, prima di inforcare la moto con cui torna a casa dal lavoro, ci segnala una vecchina italiana di 83 anni che vive a ridosso delle Mura. Questa vecchina dalla faccia allegra ma gonfia di freddo avrebbe la sua pensione ma sembra che il nipote se ne sia appropriato.
Colle Oppio, via Marsala, via Dandolo, Sant’Egidio, Dono di Maria. La rete del volontariato risolve i problemi dell’igiene personale, della mensa, del vestiario. Molto più difficile è la cura della salute, soprattutto se si tratta di patologie che richiedono uno specialista. Ed è praticamente impossibile possedere delle cose, non solo a causa delle rapine: devi portare tutto sulle spalle, come la lumaca con la sua chiocciola, oppure rischi che la nettezza urbana butti tutto. Chi cerca lavoro ha il problema dei trasporti: i senzacasa sono stanziali nelle zone centrali, dove c’è più luce e più sicurezza. Ma per lavorare devono spostarsi anche di molti chilometri.