Simonetta Sciandivasci, il Giornale 30/3/2014, 30 marzo 2014
BABY K, UNA RAPPER CONTRO LE DISTINZIONI
Quello che le donne non dicono, ma vorrebbero: rose; nuove cose; un altro sì; il carcere per chi chiede «ma tu, da donna, come vivi il tuo lavoro?». Baby K, clorofilla del rap italiano di seconda generazione, ha perso il conto di quante volte ha risposto a domande così. Certo, quando su Baby K si sono accessi i riflettori, lei cantava di essere una femmina alfa e che questo la inscatolasse in discorsi di genere era inevitabile. I suoi testi sono carichi di «girl power», acume da donna, ogni tanto saettano contro i maschietti ma in generale se la prendono con le categorie, anzi con l’esigenza di categorie. «Per me ha senso solo parlare di persone», dice quando racconta quanto sia difficile spiegare che sì, lei è la femmina alfa, la dura, ma non si sente più una donna sola in un mondo di uomini, anche se lo ha cantato. Insomma, Baby K dei maschi si fida perché si fida delle persone. A scoprirla, tra gli altri, è stato Dj Squarta, istituzione dell’hip hop romano; il suo primo album ( Una seria ) lo hanno prodotto Tiziano Ferro e Michele Iorfida; il suo ultimo singolo lo canta con Fabri Fibra. È un maschiaccio? E’ spregiudicata? Ma quando mai. Per lei la verginità è un valore, la delicatezza pure e la pudicizia, legata all’intelligenza, è un’arte. Chi lo avrebbe detto che proprio lei smentisse l’equazione «femmina rapper= debosciata»? Baby K sa che le donne dell’hip hop, in Italia, sono poche solo perché il genere è in via d’affermazione e non certo perché sia sessista.