Stefano Salis, Il Sole 24 Ore 30/3/2014, 30 marzo 2014
FILOLOGIA DI LENNON, LO SCRITTORE
Siamo a Londra, nel 1963. (Parentesi: avete presente quando negli articoli incontrate parole tipo "signore dell’editoria"? Ecco: la cosa che riassume meglio il senso di questa frase fatta è il seguente: si parla di una persona che magari non appare e non conoscerete mai ma che è dietro, e prima, durante e dopo, molti dei libri più celebri che vi sia capitato di leggere o solo di aver sentito nominare). Siamo a Londra, dunque, nel ’63, e c’è questo "signore dell’editoria" che si chiama Tom Maschler. Non vi dice nulla, eh? Eppure se vi dico che c’è lui dietro la pubblicazione (in Inghilterra, quindi spesso, poi, nel mondo) di Joseph Heller, Doris Lessing, Kurt Vonnegut, Philip Roth, Salman Rushdie, Martin Amis, Ian McEwan, Julian Barnes..., avete capito che siamo proprio ai vertici. A 26 anni (26 anni!) questo figlio di esuli dall’Austria è a capo della gloriosa casa editrice Jonathan Cape. Marchio un po’ impolverato, che ha bisogno di rilanciarsi. È la persona giusta. Maschler è geniale, affascinante, seduttivo, si guarda intorno, annusa l’aria, fiuta il talento come pochi. Le sue memorie (Publisher, 2005) sono una mappa precisa dell’editoria del Novecento in quella (questa) parte di mondo. Insomma, capisce che sta per succedere qualcosa nel mondo della musica e dell’immaginario collettivo pop: commissiona un libro sull’argomento. L’autore, così, gli porta, tra l’altro materiale, una serie di foglietti pieni di limerick, storielline, disegni a matita e penna. Tratto leggero e sottile, alla Steinberg. Soggetti – di storie e disegni – alla Carroll o alla Lear: fantasie sbilenche, personaggi immaginari, zoologie fantastiche. I disegni e le storie fanno sorridere e pensare. Lo "scrittore" ha l’irresistibile tendenza a deformare le parole, a usarle incessamente per giocarci, creando nuovi e strampalati significa(n)ti. In uno di questi fogli, che ancora non sono diventati un libro a sé (e lo diventeranno, appunto, per merito e su suggestione di Maschler), annota un riferimento personale, non una storiella inventata. È del 1962 ed è tutto reale, anche se sembra una favola, l’inizio di una favola. C’è un gruppo musicale che ha scritto «a sog called Lub Me Jew... The Beagles (Johb, Paub, Georb and Rigo) hop to sell maby coddies of it. God luck lads»... Avete riconosciuto il gruppo pop più famoso di sempre, con declinazione in -b, la loro prima canzone, Love Me Do, e sapete ormai che stiamo parlando di quel genio della parola cantata (ma anche scritta) che è stato John Lennon, l’"autore" che Maschler fiuta ed è pronto a lanciare. Le many copies son ora tantissime e i Beatles hanno sfondato. Il libro esce nel momento più alto della Beatlesmania: marzo 1964. John Lennon è «il Beatles che scrive», quello di gran lunga più votato alla letteratura, e le recensioni, temutissime, iniziano ad arrivare. Qualche stroncatura c’è, ma il più sono benevole: i critici scorgono le affinità con i versi immaginifici di Lear & Co. Lennon è già famosissimo in Inghilterra e c’è appena stato lo sbarco trionfale dei Beatles negli Stati Uniti, esattamente cinquanta anni fa: data che consacrerà definitivamente i fab four e che è oggetto di numerose mostre rievocative in questo periodo, a partire da quella della New York Public Library. Non parliamo delle vendite del libro. Del resto, in questo, Maschler, ci sguazza. Il primo libro di John Lennon, In His Own Write, è ovviamente un successo. «I librai erano stati cauti, come sempre sono i librai», ricorda oggi divertito Maschler. Il libro uscì di mercoledì, le recensioni arrivarono sui giornali del weekend. La tiratura iniziale era stata di 20 mila copie. «Il lunedì, appena arrivai in ufficio, c’erano almeno una trentina di librai che chiedevano di rifornire il libro. Chi aveva ordinato sei copie, sei copie!, era lì per chiedermene cento...». Ristampa immediata in una settimana, 50 mila copie e così via, fino alle 600 mila copie di risultato finale. Certo, era facile vendere Lennon, come è facile capire che più di tutto al cantante aveva soddisfatto essere invitato come autore nella storica libreria Foyle’s a presentare il suo libro: lì aveva chiacchierato con gli scrittori "di professione" da pari a pari, dopo aver tenuto un breve discorso per il quale «se l’era fatta addosso per la paura». Maschler aveva accompagnato Lennon durante tutto il processo di editing e pubblicazione. «Andavo io nel suo appartamento di Emperor’s Gate: dentro c’erano gli altri tre Beatles, fuori era sempre una processione di ragazzine urlanti. Ci mettevamo in un angolo a lavorare, non c’era verso di farlo venire da me a rivedere le bozze più tranquillamente: l’avrebbero riconosciuto e assalito...». Lennon fu pagato diecimila sterline per il libro, «una cifra irrisoria per uno che, in un solo giorno da cantante, avrebbe guadagnato di più di quello che avrebbe potuto fare con un libro in tutto il suo ciclo di vita». Il manager di Lennon, Brian Epstein, diede subito l’ok: l’unica cosa importante era che Lennon fosse trattato bene – da scrittore, non da fenomeno musicale –, cosa che Maschler garantiva ampiamente. L’anno dopo fu il bis. A Spaniard in The Works (altro gioco di parole), ugualmente sottile, pieno di wit, ma inevitabilmente... meno nuovo. Lennon scrittore non fa più notizia.
Siamo a Londra, nel 2014. Le vetrinette di Bond Street della sontuosa sede di Sotheby’s ospitano la mostra «John Lennon. You Might Well Arsk». Disegni e manoscritti 1964-65: è il patrimonio di Maschler che va all’asta, cinquant’anni dopo i giorni gloriosi della pubblicazione. Dopo essere stato in visione ad Austin, la tappa londinese. La prossima sarà a New York, dove l’asta verrà battuta il 4 giugno: le previsioni dicono che l’intero venduto dovrebbe superare il milione di dollari; il rinnovato interesse per i quattro di Liverpool, in questo cinquantenario americano, è notevole. Luci soffuse, sfondo nero, titolo dell’asta "lennoniano", con tipica sua storpiatura di parola. Eccoli qui, i manoscritti originali, i disegni poi utilizzati per i libri. Foglietti d’occasione, vergati su carta da lettere degli alberghi, oppure dattiloscritti su fogli a righe. Quasi sempre Lennon scrive a mano e con la macchina per scrivere usando il solo stampatello e le lettere maiuscole; il corsivo è sempre pulitissimo, minime le correzioni. Come se avesse pensato a lungo prima prendere la penna in mano (ma in alcuni casi è evidente, però, che si tratti di copie "in bella" di documenti scritti più rapidamente). Ad aprire la mostra la prefazione di Paul McCartney: un dattiloscritto abbastanza di circostanza, che non dovette convincere troppo Maschler, visto che sul retro se ne "ipotizza" una completa riscrittura. Maschler andò poi sul sicuro, pubblicando l’originale di Paul. E quindi i disegni, le annotazioni, le parodie. In una, Lennon immagina un’indagine di Shamrock Wombls, che fa ricerche sulla morte della prostituta Anne Duffield, uccisa da Jack The Nipple (poi pubblicata su Spaniard), c’è una guida semiseria di «Liddypool» (stranamente nessuna menzione del Cavern Club), c’è, ancora, un esilarante raccontino su cose da chiedere al dentista. Figura non del tutto secondaria: John Riley, dentista di John, fu anche colui che lo introdusse all’Lsd e colui che, anni e anni dopo, avendo conservato un molare estratto dalla bocca di John lo rivendette all’asta. Molare che fu puntualmente acquistato, per 31mila dollari (!) dal fan (dentista a sua volta) di turno. E che se ci fa capire come i collezionisti non siano proprio del tutto a posto con la testa, testimonia anche come ci siano collezionisti e collezionisti. I memorabilia sono una bella cosa (quasi sempre); un repertorio come questo, invece, aiuta anche a indagare meglio la personalità di un grande artista. E a ricostruire – filologicamente – un pezzo di cultura migliore del nostro secolo. Editoria, musica, letteratura, poesia, arti visive: un intreccio che spesso sfugge e va via mentre la vita accade, e purtroppo lo fa sempre di fretta. A bocce ferme, anche tra le vetrine di una mostra d’asta, si può riflettere meglio. Poi il battitore darà un colpo di martello e il vortice ricomincerà, ma magari il senso del tutto sarà cambiato e ne sapremo qualcosa in più di cosa siamo stati e del perché oggi siamo così. Chissà, forse. Ma la filologia serve esattamente a questo, dopo tutto. E vale anche per il pop.