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 2014  marzo 30 Domenica calendario

FINANZA NARRATIVA


«Ecco gli effetti del tuo mercato, Derek, e delle banche centrali che stampano soldi. Tutti comprano tutto sulla base di utili futuri, e intanto ci scaricano dentro tonnellate di debiti. La finanza sta sfasciando tutto, sta divorando l’economia reale». Il vibrante j’accuse echeggia in una drammatica scena de I diavoli (Rizzoli), romanzo di recente pubblicazione firmato da Guido Maria Brera, chief investment officer e cofondatore del gruppo Kairos. A pronunciare l’atto d’accusa è Massimo, tormentato protagonista del libro, banker ai vertici del fixed income d’una grande banca d’affari, il desk dove si trattano la vendita e l’acquisto dei titoli di Stato. Pur presentandosi come un romanzo, e di conseguenza di più facile appeal per il grande pubblico, l’autore conduce il lettore all’interno del mondo della finanza, descrive i meccanismi con cui domanda e offerta portano alla formazione di prezzi, talvolta manipolati o manipolabili, descrive i disastri dell’eccessiva leva, i rischi sistemici derivanti da movimenti di ingenti capitali su scala globale. Dal centro del trading floor, plancia di comando della grande banca, in una vorticosa girandola d’incontri, e scontri, con fonti confidenziali o personaggi inside, Brera getta una luce nuova sulla sala macchine del mondo finanziario. La descrizione è fedele e induce quindi il lettore a interrogarsi sul futuro dell’economia, sulla regolamentazione necessaria, sul rapporto tra economia reale e finanza. La narrazione autobiografica, a tratti immaginifica, de I diavoli rinuncia allo sguardo obliquo per muovere da una prospettiva frontale. Ed è così che restituisce ai lettori quella dimensione invisibile, ignota ai più, in cui si formano le decisioni capaci di segnare la piega degli eventi. «La finanza raccontata dalla sua scatola nera», recita l’eloquente sottotitolo. Fin dalle prime pagine del romanzo si ritrovano tutti i controversi temi che hanno segnato il recente passato rischiando d’ipotecare il futuro.

Sono motivi contraddittori, oppure – più precisamente – pericolose illusioni e inganni diabolici. A cominciare da quella politica dei tassi bassi che rappresenta il perno su cui ha agito la leva finanziaria. E mentre la mareggiata di cartamoneta si rovescia sull’economia reale, oltre la cresta dell’onda più alta Massimo scorge già le macerie. «Sai quanti fondi di private equity hanno comprato quel cantiere prima che fallisse? Ci sono passati in cinque o in sei», urla il banker in crisi rivolto al suo mentore: lo spietato e potente Derek Morgan. Lo stigma è netto, come netta è la condanna della spregiudicatezza con cui i fondi d’assalto hanno acquistato praticamente a debito, per poi passarsi di mano, un’azienda sana e d’eccellenza. Ed ecco emergere la cruda fotografia d’una finanza «sistemica», autoreferenziale, a tratti scopertamente predatrice, ormai persa all’originaria funzione di primo motore dell’attività industriale. Non più una finanza a servizio dell’economia ma una finanza che piega e domina l’economia reale. Gravate dai debiti con cui sono state comprate, le aziende vittime di queste acquisizioni vengono sottoposte a una drastica terapia a base di tempi produttivi sempre più serrati, dilazione dei pagamenti ai fornitori, riduzione degli investimenti strategici, progressiva perdita degli standard di qualità, inevitabile collasso delle prospettive di sviluppo. Fino all’inevitabile conclusione che Massimo oppone al feroce cinismo dell’interlocutore: «A quel punto l’ultimo fondo ha azzerato la partecipazione, il giocattolo si è rotto e il cantiere è fallito: sigilli alle fabbriche, undicimila operai a casa». Ma a quel fallimento sono indissolubilmente legate le esistenze di uomini e donne, insieme alle scelte del protagonista, lacerato dalla consapevolezza della responsabilità delle proprie azioni. Di più non è lecito dire per non guastare la lettura. È la vita umana – nei suoi molteplici aspetti – a trasformarsi nella posta del gioco finanziario. Per questo Brera sceglie una prospettiva inedita, volutamente provocatoria, che marca uno scarto rispetto alle tradizionali narrazioni dei mercati borsistici. Non più Gordon Gekko, e nemmeno i raider della Wall Street anni Ottanta impegnati sull’azionario. Ora, al centro del racconto, ci sono i gestori delle obbligazioni governative. Coloro che, puntando sui titoli di Stato e sulle valute, esercitano una capacità di manipolazione e condizionamento tale da definire il futuro o sfidare le leggi stesse del mercato per garantire la conservazione di un ordine. Sono i diavoli: per metà arcimaghi dell’illusione e per metà tessitori delle sorti del mondo, laddove i riferimenti al mito di Mefistofele si mischiano alle parole di Charles Baudelaire: «Il più bel trucco del diavolo sta nel convincerti che non esiste».
Lontano da una rappresentazione manichea, quando le ragioni del momento giustificano l’uso di qualsiasi mezzo, I diavoli compone un affresco cupo del più pervasivo tra i poteri all’alba del terzo millennio. Eppure, mentre tutto sembra perduto e ogni possibilità di redenzione esclusa, ecco balenare la visione di un futuro diverso, che non può che essere costruito insieme, per il quale servono precise assunzioni di responsabilità. «Sarà una lunga notte per il tuo Paese. Ma lì fuori c’è un’intera generazione, quella dei tuoi figli, che deve partire, andare via. Ed è a loro che quelli come te dovranno guardare. Scegliti il pezzo d’Italia che puoi ancora salvare e inventa un modo per formarlo: nelle strade, nelle scuole, nelle università, ovunque sia possibile. Dovete investire tempo e risorse per formare un esercito di giovani che vinca oltre i vostri confini. Saranno loro a tornare e a farsi carico di questo Paese. È lì il segreto della rinascita». Un inatteso messaggio di speranza consegnato al lettore nelle ultime pagine e intessuto sulla funzione sociale e progressiva della formazione. Ad alcuni potrebbe suonare retorico, tuttavia, sono le parole di Derek: più che un diavolo pare un essere umano libero, libero di scegliere il bene. Libero e responsabile anche nella sfera economico-sociale, in ogni contesto, senza eccezioni.
Marina Brogi