Paul Krugman, Il Sole 24 Ore 30/3/2014, 30 marzo 2014
TALENTI E VIRTÙ CHE PORTANO GLI UOMINI AL SUCCESSO
Abbiamo trovato un altro miliardario che pensa che chiunque parli di disuguaglianza sia un nazista: questa volta è Ken Langone, uno dei fondatori della Home Depot. Non ho niente di utile da dire a questo proposito, se non osservare che di personaggi del genere ce ne sono parecchi. Voglio dire, di miliardari non è che ce ne siano così tanti, perciò il fatto che avvistiamo così tanti esemplari di quella genia di individui che non solo credono che la sinistra sia praticamente uguale a Hitler, ma che sono disposti a dichiararlo in pubblico evidentemente indica che una fetta consistente dei nostri miliardari la pensa allo stesso modo ma ha remore a dirlo apertamente.
Per fortuna i grandi patrimoni non portano grande influenza politica nell’America di oggi, non è così?
Il recente articolo di Jonathan Cohn sul signor Langone, pubblicato dal The New Republic (lo trovate all’indirizzo bit.ly/1m44nns), mi ha riportato alla mente una precedente invettiva dello stesso personaggio su Bloomberg Tv, in cui si scagliava contro il sottoscritto e «la pretenziosità del suo pensiero e delle sue idee». E, a mio parere, questa invettiva (e altre simili) spiega, almeno in parte, il mistero della persistente popolarità del "canone macroeconomico di Wall Street", a dispetto del suo assoluto fallimento nella pratica.
Ma con chi ce l’aveva, in definitiva, Langone?
Con me, naturalmente. Ma non con le idee "pretenziose" in generale, presumo: non penso che Langone sia davvero uno stupido, e sono sicuro che quando si parla (per fare un esempio) di sistemi informatici per la gestione delle scorte sia più che disposto ad accettare l’idea che certe cose sono tecniche e necessitano di una certa competenza in materia.
No, secondo me Langone in realtà si scaglia contro due cose. La prima è l’idea che per capire l’economia possa servire qualche tipo di competenza specifica. È un problema fin troppo comune tra i ricchi, e specialmente fra i self-made men: pensano che il loro successo finanziario personale voglia dire che comprendono il funzionamento dell’economia, e rizzano il pelo all’idea che la macroeconomia possa essere qualcosa di più della somma delle singole strategie imprenditoriali. L’altra ragione della sua rabbia (ed è una ragione, secondo me, che va alla radice del canone macroeconomico della destra) è l’incapacità di accettare che la scarsità non sempre spiega tutto. Per molti, a destra, il limite alla prosperità è dato unicamente dalla volontà degli individui produttivi (cioè le persone come loro) di produrre: è così e non può essere diversamente.
L’idea che a volte il problema sia in una carenza di domanda, che l’insuccesso possa derivare da un malfunzionamento del sistema invece che da un impegno insufficiente, è vista come un anatema, perché insinua, tra le altre cose, che in alcuni casi le persone riescono o falliscono per ragioni che non hanno nulla a che vedere con i loro talenti o virtù personali (o la mancanza di talenti e virtù personali), un’idea che uomini come Langone, che sono convinti che il proprio successo personale sia interamente merito dei loro sforzi, trovano profondamente offensiva.
E perciò, quando qualcuno dice che questa è un’economia depressa in cui il disavanzo di bilancio dello Stato non "rimpiazza" la spesa privata, e in cui stampare moneta non si traduce in un’inflazione che espropria le ricchezze che hanno guadagnato col sudore della fronte, loro non stanno a sentire e nemmeno si curano dei dati. Lo prendono come un affronto personale e cominciano a strillare che sono tutte sciocchezze pretenziose.
(Traduzione di Fabio Galimberti)