Rita Fatiguso, Il Sole 24 Ore 30/3/2014, 30 marzo 2014
LA SFIDA DI XI JINPING NELL’ARENA EUROPEA
Un trionfo di diplomazia economica, il viaggio di Xi Jinping nel cuore del Vecchio Continente, scortato a distanza dall’aura impalpabile del Governatore della Banca centrale Zhu Xiaochun. Quella di Xi non è più la Cina che De Gaulle riconobbe politicamente, in anticipo su tutti, cinquant’anni fa.
E alla Francia, non a caso, il presidente ha voluto rendere omaggio nella sua prima visita europea dall’elezione ai vertici della Repubblica popolare cinese.
Oggi la Cina è la seconda potenza economica e il primo trader globale, un gigante che ha un bisogno assoluto del mercato europeo, sia come meta delle sue esportazioni, sia come approdo degli investimenti, se vorrà centrare l’obiettivo di crescita del 7,5% tracciato dal premier Li Keqiang all’Assemblea plenaria del Parlamento. È il Paese del renminbi non convertibile, custodito (per il momento) nelle riserve di Stati come Malesia, Sudan e Nigeria, ma che, con il viatico del Governatore Zhu, dopo Hong Kong, si prepara a navigare nei nuovi hub a Londra e Francoforte. Ovvero nel cuore profondo dell’Europa, per lanciare la sfida al dollaro.
Torna a casa, Xi Jinping, con una gran messe di accordi e mentre li firmava, in Europa si è palesato un blitz finanziario: la mossa, orchestrata da Zhu Xiaochun il 21 marzo, equinozio di primavera, ha colpito l’Italia una settimana dopo, un Paese non incluso nell’itinerario del leader, a differenza di Olanda, Germania, Belgio e Francia. Un investimento finanziario eccezionale, fatto mettendo sul piatto le proprie riserve, che ha portato la Banca centrale cinese a sfondare il tetto del 2% nel capitale di Eni ed Enel. Asset strategici per l’Italia e, ora, anche per la Cina. Un messaggio crittato per Barack Obama, anche lui a L’Aja per il vertice sulla sicurezza nucleare: la Cina investe le sue immense liquidità in asset stabili in Europa, non ci sono solo i bond del Tesoro Usa. E per l’alleato Vladimir Putin: non c’è soltanto il tuo gas siberiano.
È per ridare stimolo ai rapporti economici che Xi Jinping è sceso nell’arena europea e ci ha messo, letteralmente, la faccia (mianzi, come dicono i cinesi). L’interscambio tra i 28 Stati dell’Europa e la Cina è pessimo, a gennaio e febbraio i volumi sono scesi drasticamente, quella europea è l’unica area del mondo negativa nei rapporti commerciali con la Cina. Il renminbi ha appena raddoppiato la banda di oscillazione giornaliera, ma le quotazioni continuano a rasentare i minimi e questo è un bene per l’export di Pechino, che però continua a negare un uso strumentale della moneta. Il Go Global in Europa è agli inizi, gli investimenti cinesi diretti rappresentano appena il 2-3% del totale. Aziende come Vanke, il colosso del real estate, che avrà un suo padiglione all’Expo di Milano, guardano all’Europa perché la Cina cambierà pelle, Pechino ha appena annunciato il temutissimo registro unico nazionale degli immobili.
Prima di partire, Xi ha regalato due chicche all’Europa, la fine della lite sul polisilicone e quella sul vino, due grane sbrogliate un attimo prima di prendere il volo per l’Olanda, in segno di pace, dopo mesi di fibrillazioni. L’Europa ha ricambiato facendo evaporare l’indagine sugli aiuti di stato alle aziende cinesi delle tlc Huawei e Zte.
La vera posta in gioco tra i due blocchi è il trattato bilaterale al quale lavorano alacremente le delegazioni degli schieramenti: lanciato ufficialmente al 16esimo Business Summit Europa-Cina a Pechino lo scorso mese di novembre, dovrà dare una singola voce ai 28 Paesi della Ue. Insomma, basta mille accordi bilaterali incrociati, la voce deve essere una sola.
Un nuovo round di colloqui si è tenuto a Bruxelles durante la visita europea del presidente cinese, il trattato è di estremo interesse anche per la Cina. Intento a praticare la diplomazia economica, Xi Jinping non avrà seminato in vista del miracolo dei miracoli? Vale a dire convincere i quattro Paesi visitati a persuadere gli altri 24 della bontà di un trattato di libero scambio Europa-Cina? Non è escluso. La tesi di Pechino torna di estrema attualità: perché con gli Usa sì e con noi no?