Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 30 Domenica calendario

USI E ABUSI DI UNO SLOGAN (S)FORTUNATO


Tutti la vogliono, ma nessuno se la piglia. È un po’ questa la condizione della malmaritata «rivoluzione liberale», calata dalla nobile sfera delle idee liberalsocialiste alla assai più prosaica politica reale della Seconda Repubblica, dove, tra usi e abusi, e di slittamento semantico in scivolamento propagandistico, ha finito per mutare di significato.
La formula, nel 1994, viene rilanciata da Silvio Berlusconi, e la bandiera liberal-rivoluzionaria passa così a destra (dove c’è chi annovera Piero Gobetti tra gli ideologi del cosiddetto «gramsciazionismo»). C’era in effetti parecchio di «rivoluzionario» (e postmoderno) per la politica nostrana nella spinta propulsiva del berlusconismo, ma il tasso di liberalismo lasciava alquanto a desiderare, configurandosi come una promessa non realizzata, analogamente a quella a cui si erano invece molto applicati, e ben da prima, i radicali di Marco Pannella, i quali affermavano di utilizzare i loro referendum come grimaldelli proprio per innescare e far esplodere l’insurrezione liberale (e liberista).
A sinistra, nel maggio del 1995, era stato Massimo D’Alema, durante il suo «viaggio iniziatico» presso la City di Londra, ad annunciare una rivoluzione liberale prossima ventura guidata dal Pds; di qui, la reazione di Norberto Bobbio che, dalla prima pagina della Stampa, ritenne opportuno evidenziare l’incompatibilità tra «democrazia» e «rivoluzione», mettendo in guardia dal rischio di ricadere in qualche luogo comune e preoccupandosi pure di quale fine avesse fatto l’antica radice socialista di quel partito. Da allora lo slogan ricompare un giorno sì e l’altro pure nel dibattito politico e culturale nazionale, dall’economista Luigi Zingales a Paolo Guzzanti (direttore dell’omonimo web magazine, «organo del PlI»), da Mario Monti ad Angelino Alfano. Perché non possiamo non dirci liberali (anche se, poi, facciamo un’enorme fatica a esserlo davvero…).