Rebecca Newberger Goldstein, la Repubblica 30/3/2014, 30 marzo 2014
FILOSOFIA DEL SELFIE – [DALL’ANTICA GRECIA A INTERNET, DAL KLEOS A KLOUT, IL GRADO DI POPOLARITÀ CI OSSESSIONA ECCO COME LIBERARSI]
TUTTO è cominciato quando un amico mi ha chiesto quale fosse il mio punteggio Klout. Io non sapevo cosa fosse un punteggio Klout, ma ero abbastanza sicura di non averne uno. E infatti è venuto fuori che non usando né Facebook, né Twitter, né nessuno dei social media che un sito chiamato Klout usa per calcolare la tua influenza online, il mio punteggio probabilmente andava da basso a inesistente. La gente ormai si mette in mostra in ogni modo, producendo — in parole, immagini, video — la storia condivisa della propria vita in tempo reale. Disseminano ovunque pensieri e azioni, grandi e piccoli, in uno sforzo che può apparire come un perpetuo appello per avere attenzione. Non ero così fuori dal mondo da non essere a conoscenza dei grandi cambiamenti culturali che avevano travolto la nostra società mentre la mia attenzione era rivolta altrove, cioè all’antica Grecia. Da qualche anno cerco ossessivamente di scoprire le ragioni di fondo degli spettacolari progressi realizzati da quella civiltà. Nel giro di appena un paio di secoli, le genti di lingua greca passarono dall’anomia e dall’analfabetismo a Eschilo e Aristotele. Cosa c’era dietro questa ambizione esplosiva, dietro questi progressi sensazionali? Forse proprio il fatto che i greci siano ancora saldamente impiantati nel nostro sistema può offrirci qualche punto di vista interessante sul mondo contemporaneo. Per cominciare, il Klout mi sembra molto simile a quello che i greci chiamavano kleos. La parola proviene dal vecchio termine omerico che sta per «io ascolto» e che designava una sorta di rinomanza uditiva. In parole povere, la fama, la celebrità, ma anche il fatto glorioso a cui era dovuta la fama, o ancora il poema che cantava di quel fatto glorioso e che era all’origine della fama. Il kleosera un elemento centrale nel sistema di valori dell’antica Grecia, motivato almeno in parte dal bisogno che abbiamo noi umani di sentire che la nostra vita è importante. Basta avere un po’ di prospettiva, e i greci di sicuro l’avevano, per capire quanto sia breve e insulsa la nostra vita. Che cosa possiamo fare per dare alle nostre vite quel di più che ci aiuti a sopportare i millenni che presto ci ricopriranno completamente, facendo dimenticare che siamo mai esistiti? Perché, viene da chiedersi, ci siamo presi il disturbo di venire al mondo. Le genti di lingua greca erano ossessionate da questa domanda quanto noi.
E come tanti di noi, affrontavano il problema in modo laico. La loro cultura era intrisa di rituali religiosi, eppure non era ai loro immortali, notoriamente inaffidabili, che si rivolgevano se volevano avere la garanzia di essere importanti. Ciò che ricercavano era l’attenzione degli altri mortali. Tutto ciò che possiamo fare, era la loro conclusione, è ingrandire la nostra vita, sforzarci di farne qualcosa che valga la pena di raccontare, materia per storie che lascino il segno nella mente degli altri mortali, in modo che la nostra vita, replicata nella testa degli altri, acquisisca quel «di più». [Non tutti, all’epoca, affrontavano questo problema dell’importanza in termini mortali. Coeva dei greci, sull’altra sponda del Mediterraneo, c’era una tribù ancora sconosciuta, gli Ivrim, come si autodenominavano, gli ebrei. E là elaborarono il concetto di un rapporto un unico e solo Dio che forniva le fondamenta del mondo fisico e del mondo morale. ]
E poi c’era un terzo approccio, che emerse anch’esso nell’antica Grecia e anch’esso basato su presupposti laici, un approccio che affrontava la questione in termini rigorosamente mortali. Sto parlando della filosofia greca, che era abbastanza greca da sposare l’assunto kleoseggiante che nessuno di noi nasce importante, ma l’importanza se la deve conquistare, e per riuscirci servono ambizioni e sforzi smisurati, che ti obbligano a fare di te stesso qualcosa di straordinario. Ma la filosofia greca rappresentava un discostamento anche dalla propria stessa cultura: non si diventava importanti attirando l’attenzione di altri. Diventare importanti era qualcosa che bisognava fare per se stessi, coltivando qualità del carattere virtuose come la giustizia e la saggezza. Bisognava mettere ordine nella propria anima impegnandosi a fondo, perché già solo comprendere la natura della giustizia e della saggezza, che è la prima cosa, metteva alla prova i nostri limiti, figuriamoci agire coerentemente con le nostre conclusioni. E non è detto che tutto questo impegno potesse procurarci alcun kleos. A Socrate fruttò una tazza di cicuta: se la bevve con calma, senza turbarsi del suo basso punteggio.
Nel corso dei secoli, la filosofia, forse aiutata dalla religione, ha abbandonato l’errato presupposto dei greci secondo cui solo una vita straordinaria aveva importanza. È stato un progresso di quelli tipici della filosofia: essa produce argomenti che estendono costantemente la sfera dell’importanza. Per i greci era naturale escludere le loro donne e i loro schiavi, per non parlare dei non greci, che etichettavano con l’appellativo di barbari. Esclusioni del genere oggi per noi sono impensabili.
A volte, però, non sembra che abbiamo fatto molta strada. Il nostro bisogno di sentire che la nostra vita è importante è forte oggi come sempre. Ma le diverse varianti dell’approccio teistico non sono più soddisfacenti come un tempo, mentre coltivare giustizia e saggezza resta difficile come è sempre stato. Le nuove tecnologie sono entrate in gioco proprio quando ne sentivamo maggiormente la necessità: il kleos( o il Klout) ora è a portata di tweet.
È strabiliante che la nostra cultura, con l’assottigliarsi del teismo, sia tornata a quella stessa risposta al problema dell’importanza che Socrate e Platone giudicavano inadeguata. La loro contrarietà di allora oggi, forse, è perfino più appropriata. Quanta soddisfazione può dare, in fin dei conti, una cultura basata sull’ossessione per i social media? Questa multireplicazione così accessibile è effimera e inconsistente come i tanti esempi delle nostre vite che replicano. Se a far emergere la filosofia furono inizialmente le inadeguatezze del kleos, forse è arrivato il momento che la filosofia affronti il Klout. Le risorse ce le ha: è molto più sviluppata che ai tempi in cui Socrate girava per l’ agorà cercando di smontare quelle persone così gonfie di kleos. Può cominciare dimostrando, con forza e chiarezza come la filosofia sa fare, che tutti siamo importanti.
Siamo importanti per diritto di nascita, e dobbiamo essere trattati di conseguenza, dobbiamo avere tutti le risorse per «fiorire ». Comprendere questa verità etica può contribuire a placare la frenesia che circonda la nostra importanza personale, consentendoci di indirizzare maggiori energie verso la coltivazione della giustizia e della saggezza. Dirò di più: comprendere fino in fondo questa verità etica costituirebbe già da solo un passo avanti significativo verso la coltivazione della giustizia e della saggezza.
Traduzione di Fabio Galimberti
© The New York Times 2014