Ricardo Franco Levi, Corriere della Sera - La Lettura 30/3/2014, 30 marzo 2014
IL FALEGNAME CHE TROVÒ LA BUSSOLA
Crauti. Questa era la parola d’ordine scelta dal capitano James Cook per il suo secondo, trionfante viaggio iniziato nel 1772, a bordo del Resolution . Aggiungendo alla dieta dei propri marinai il tipico alimento tedesco a base di cavoli e ricchissimo di vitamina C, il grande circumnavigatore sconfisse lo scorbuto, il morbo che nei lunghi viaggi oceanici aveva sino ad allora implacabilmente mietuto vittime tra gli equipaggi.
Oltre che sui crauti, per la salvezza propria e dei suoi uomini Cook poteva contare su un nuovo, prodigioso strumento per calcolare la longitudine e, quindi, la posizione della propria nave: un orologio marino.
Appena sessantacinque anni prima, nell’ottobre del 1707, ne era ancora privo l’ammiraglio Shovell che, in una notte di «tempo sporco», sbagliò il calcolo della longitudine e portò la sua flotta a schiantarsi sulle isole Scilly, a venti miglia dalla costa inglese. Morirono 2 mila uomini. Si salvarono soltanto in due: uno di loro era proprio l’ammiraglio che, svenuto sulla battigia, fu immediatamente ucciso da una donna del luogo per rubargli un anello di smeraldo.
L’emozione per la perdita di tante vite umane non restò senza conseguenze. Passarono pochi anni e nell’anno di grazia 1714, esattamente tre secoli fa, regnante la regina Anna, il Parlamento inglese annunciava l’adozione di uno speciale provvedimento, il Longitude Act , con il quale stabiliva un premio di 20 mila sterline destinato a chi fosse riuscito a calcolare la longitudine con un’approssimazione di mezzo grado.
Calcolare la latitudine, cioè la propria posizione verso nord o verso sud a partire dal parallelo di grado zero, l’equatore, era cosa che ogni marinaio esperto sapeva fare, a questo scopo quasi bastando il misurare l’altezza del sole sull’equatore con un semplice compasso. Così aveva navigato anche Cristoforo Colombo, nel 1492, riuscendo a seguire una rotta quasi rettilinea attraverso l’Atlantico.
Tutt’altra impresa era calcolare la longitudine, cioè la propria posizione verso est o verso ovest. Poiché la terra impiega ventiquattr’ore per compiere un’intera rotazione di 360 gradi, ogni ora di differenza tra l’ora a bordo della nave e l’ora nel luogo di partenza indica uno spostamento di quindici gradi di longitudine verso est o verso ovest. Ma in mezzo al mare, per il marinaio di quei tempi, mentre era facile controllare il momento nel quale il sole raggiungeva il punto più alto nel cielo per determinare il mezzogiorno sulla propria nave, conoscere l’ora nel porto di partenza o in un altro punto certo di riferimento era ancora quasi impossibile: secondo il capitano Lemuel Gulliver di Jonathan Swift , proprio «come arrivare alla scoperta del moto perpetuo o del farmaco universale». Non poteva, ovviamente, bastare la «polvere di simpatia», un dolorosissimo medicamento che si diceva in grado di cicatrizzare ferite anche a grandi distanze se applicato a un oggetto che fosse stato a contatto con la piaga. Di qui l’impiego per il problema della longitudine, nella persuasione che l’urlo di dolore del ferito sulla nave — quasi sempre un cane, come racconta Umberto Eco ne L’isola del giorno prima — potesse trasmettere l’ora esatta di terra.
Insomma, serviva uno strumento, un orologio capace di mostrare con esattezza l’ora di casa per tutto il viaggio e in ogni condizione di tempo.
Ma tanto non potevano allora offrire gli orologi a pendolo, che pure avevano segnato un enorme progresso nella misurazione del tempo: il rollio della nave, le variazioni di temperatura e di pressione li rendevano del tutto inaffidabili. Né, ancora in assenza di precise conoscenze sui movimenti della Luna e delle stelle, maggior fiducia si poteva riporre nella lettura dell’«orologio celeste».
Attratto dal premio di 100 mila corone promesso nel 1598 dal re Filippo III di Spagna allo «scopritore della longitudine», persino Galileo si era cimentato, senza successo, nell’impresa di calcolare la longitudine per gli uomini di mare, confidando nell’osservazione dei satelliti di Giove e a questo scopo disegnando uno speciale elmetto nautico, il celatone , dotato di telescopio.
La soluzione sarebbe venuta grazie alla competizione scientifica scatenata dal Parlamento inglese: una storia raccontata da un delizioso libriccino, Longitudine , di una giornalista americana, Dava Sobel, da poco opportunamente ristampato in Italia da Rizzoli e nel Regno Unito da Fourth Estate in una speciale edizione celebrativa del trecentesimo anniversario del Longitude Act .
In una contesa che vide coinvolti tutti i principali scienziati del tempo, da Sir Isaac Newton a Edmond Halley, che indusse alla costruzione di splendidi osservatori e portò a straordinarie scoperte come il calcolo del peso della Terra e della velocità della luce, si scontrarono da un lato un plotone composto da tutti i principali astronomi del tempo, dall’altro John Harrison, un falegname geniale, ma senza istruzione, trasformatosi in orologiaio.
Alla fine fu proprio lui a trionfare con i suoi orologi: nel 1730 con l’H-1, una macchina di 34 chili, simile al vascello fantasma dell’Olandese volante, con due alberi maestri senza vele e file di remi senza vogatori; nel 1741 con l’H-2; dopo altri 18 anni di lavoro con l’H-3, 753 parti per 27 chili di peso; infine, nel 1760, con l’H-4, con i suoi 12 centimetri di diametro e un solo chilo e 300 grammi di peso un orologio quasi da taschino.
Con i suo orologi meccanici, oggi esposti al Maritime Museum di Londra, Harrison aveva superato l’orologio celeste. Il Beagle , la nave che nel 1831 portò Charles Darwin alle Galapagos, avrà a bordo 22 cronometri per la misurazione della longitudine. Ciononostante, anche il più acerrimo avversario di Harrison, il quinto astronomo reale, Nevil Maskelyne, ha lasciato il proprio segno nella storia. È stato il suo fondamentale Almanacco nautico , con tutte le distanze Luna-Sole e Luna-stelle calcolate dal meridiano di Greenwich (si pronuncia «Grènitch »), che ha fatto di questo meridiano il punto di riferimento universale.