Danilo Taino, Corriere della Sera 30/3/2014, 30 marzo 2014
NONOSTANTE LA CRISI, L’ITALIA NON CAMBIA
Tra i Paesi della cosiddetta periferia dell’Europa — quelli che più hanno sofferto della crisi dell’euro degli anni scorsi — l’Italia è quella che meno ha guadagnato in termini di competitività dell’industria e dei servizi. Pessima cosa, segno che per diventare efficiente la nostra economia ha molta strada da fare, molte riforme da realizzare. Eurostat ha pubblicato le comparazioni del costo orario del lavoro nell’intera economia, escluse agricoltura e amministrazione pubblica: è un indicatore, per quanto impreciso, della competitività. Tra il 2008 e il 2013 — gli anni della crisi — in Italia è aumentato dell’11,4% , con una crescita costante ogni anno. Negli altri Paesi periferici ha avuto andamenti parecchio diversi. In Spagna è cresciuto dell’8,7% , ma tra il 2011 e il 2013 , quando si è iniziato a sentire l’effetto di alcune riforme, è rimasto stabile. In Irlanda il costo del lavoro orario è aumentato di un modesto 0,5% . In Portogallo è sceso del 5,1% , soprattutto negli scorsi due anni. In Grecia è crollato del 18,6% .
Questi numeri danno solo in parte l’idea dell’andamento della capacità competitiva di un Paese, dal momento che non sono riferiti a quanto prodotto in quell’ora. L’efficienza produttiva italiana, però, non è cambiata molto negli ultimi anni e dunque si tratta di dati che danno il segno della minore capacità di recupero della nostra economia rispetto ad altre. In più, occorre dire che salari e stipendi bassi non sono necessariamente una buona cosa, anzi. Vale dunque la pena distinguere, nel costo del lavoro, la parte che è retribuzione da quella che va a contributi sociali e a tasse sulle attività produttive. Se in Italia — sempre dati Eurostat — il costo del lavoro orario medio è di 28,1 euro (al 2013 ), occorre sapere che il 28,1% di questo va a costi non salariali: sul rimanente 71,9% , il lavoratore dovrà poi pagare le tasse. Questo costo che non va alle remunerazioni è del 26,6% in Spagna, del 13,8% in Irlanda, del 1 9,3% in Portogallo e del 19,1% in Grecia. Nei due grandi Paesi della zona euro nostri concorrenti, Germania e Francia, è rispettivamente del 21,8 e del 32,4% . In Gran Bretagna è del 15,3% . Esclusa la Francia, insomma, tutti gli altri Stati citati gravano sulla remunerazione e sui costi di fare business meno di quello italiano.
In termini assoluti, i 28,1 euro orari non fanno del costo del lavoro in Italia il più alto. In Germania, per esempio, sono 31,3 euro: lo Stato, però, ne incamera per oneri non salariali solo il 21,8% (rispetto al 28,1% di quello italiano)e dunque al lavoratore resta una remunerazione più alta: quasi 25 euro al tedesco, poco più che 20 all’italiano. In Svezia, che è il Paese europeo che ha il costo del lavoro più alto, 40,1 euro, e le trattenute più alte, il 33,3% , al lavoratore arrivano (prima delle tasse sul reddito) l’equivalente di quasi 28 euro. C’è parecchio su cui intervenire.