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 2014  marzo 30 Domenica calendario

«LA PAURA DI ESSERE CIECA E IL DOLORE MA ADESSO MI RIPRENDO LA VITA»


DALLA NOSTRA INVIATA PESARO — Lucia sospira e sorride: «È passato soltanto un anno ma è come se ne avessi vissuti dieci. La mia vita è completamente cambiata e in tutti questi mesi è stata intensa come non mai. Me la sto riprendendo un pezzettino alla volta. Oggi, con questa sentenza, me ne porto a casa un bel po’».
Qual è la prima cosa che le viene in mente della Lucia prima dell’acido?
«Se parliamo di un anno fa ricordo, proprio in questi giorni, un senso di insicurezza crescente e inquietante che ho messo a fuoco bene soltanto gli ultimi due giorni prima di quel 16 aprile. La paura paralizza e ricordo che io ho resistito con tutte le mie forze alla paura. Non volevo averne».
Che effetto le ha fatto sentire il giudice che leggeva la condanna dell’uomo di cui un tempo era innamorata?
«Una grandissima tristezza. Non per lui ma per il fatto che ho investito il mio tempo, la mia energia e i miei sentimenti sulla persona sbagliata. E per la vicenda in sé, anche. Perché essere arrivato a tanto, essersi rovinato la vita per farmi questo comunque racconta una vicenda umana molto triste. Sono soddisfatta perché è giusto che sia finita così, ma non gioisco».
Prima che il giudice si ritirasse in camera di consiglio Luca Varani ha chiesto la parola...
«Se la domanda è che cosa ha detto la risposta è: non lo so. Mi sono tappata le orecchie con le mani. Già l’altra volta non ho voluto ascoltarlo. Forse in passato ne ho tollerate ma nella mia nuova vita le bugie non sono ricevibili».
Qual è il futuro che Lucia Annibali immagina per sé?
«Punto alla felicità e di sicuro sono più felice di quanto lo fossi un anno fa. Per quanto possa sembrare paradossale ho cominciato a costruire questo futuro la sera stessa dell’acido. È stata una specie di liberazione, quello che mi è successo. È stato come aver realizzato in quel momento che non poteva accadermi niente di peggio e che quindi avrei potuto soltanto rinascere, finalmente. Ricordo che in pronto soccorso mi sono detta: “Luci, non puoi far niente per tornare indietro. Sopporta senza lamentarti e cerca di vincere”. Ho vinto».
Che volto vedi quando ti guardi allo specchio?
«Vedo un viso che fa un passetto alla volta assieme a me. Che migliora e che migliorerà sempre più. Ho una maschera per il giorno, una per la notte e ho una faccia in carne e ossa che non è ancora quella definitiva. Nessuna delle Lucie di oggi sarà la Lucia di domani. Quella non è ancora pronta. In questo momento, come dico sempre, il mio volto è un progetto e gli ho promesso di prendermi cura di lui fino in fondo, cioè fino al massimo della guarigione possibile».
La prova più difficile di questo anno di ospedale, interventi, processo...
«Beh, sentirmi dire all’inizio che quasi certamente sarei rimasta cieca è stata durissima. Non saprei nemmeno trovare le parole per descrivere quello che mi è passato per la testa. E poi le medicazioni, il dolore fisico, l’isolamento dal mondo... Anche questo processo non è stata una passeggiata. Ci sono stati momenti in cui ho dovuto farmi violenza per leggere alcuni atti per sentire alcune frasi in aula. Ma io non ho coltivato rabbia né desiderio di vendetta. Volevo soltanto giustizia e l’ho avuta».
Ha avuto anche tanta solidarietà.
«Una grande, grandissima solidarietà, è vero. E ho avuto la vicinanza delle persone che contano e conteranno per sempre nella mia vita. La mia famiglia, prima di tutto. Le mie preziosissime amiche, i miei medici e le persone che mi hanno scritto, chiamato, sostenuto in ogni modo. Non mi sono mai sentita sola nemmeno nei momenti più duri. Non finirò mai di dire grazie a tutti».
Qual è la prossima prova da affrontare?
«Una nuova operazione, tanto per cambiare... Il 3 aprile. Siamo alla numero 11 e ce ne saranno altre ancora. Come avevo promesso a me stessa non mi sono mai lamentata né lo farò stavolta. Lo devo a me stessa. Ho promesso a me stessa di farcela e arriverò fino in fondo a questa strada. Posso fare una dedica?».
Certo.
«Voglio dedicare un pensiero a tutti gli ustionati che come me hanno provato una sofferenza indicibile. Vorrei che credessero nella possibilità di farcela. Crederci vuol dire aver già fatto metà della strada».