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 2014  marzo 30 Domenica calendario

CAPITALI ESTERI A CACCIA D’ITALIA PROSSIMA TAPPA LE PRIVATIZZAZIONI


MILANO — L’ultima mossa è stata dei cinesi: la Banca centrale di Pechino ha messo sul piatto 2,1 miliardi per comprare il 2% di Eni ed Enel. Un segnale di fiducia nell’Italia, sia sotto il profilo industriale sia di quello delle relazioni politiche, essendo due colossi controllati dal Tesoro. Ma a Piazza Affari in questo periodo la fanno da padrone gli americani.
Solo ieri BlackRock, il più grande investitore al mondo con 4.300 miliardi di dollari in gestione, ha reso noto il suo ingresso nel Banco Popolare con l’1,3% dopo aver preso quote importanti in Unicredit (5%), Intesa Sanpaolo (5%) e Montepaschi (8,5%). Sono investimenti finanziari per definizione, trattandosi di fondi d’investimento, anche se tradizionalmente operatori di lungo periodo e non raider mordi-e-fuggi. Ma sono anche la parte più visibile di un ritorno dei capitali esteri in Italia dopo la grande fuga del 2011-2012 causata dalla crisi del debito sovrano e dalle convulsioni dell’euro. Un ritorno certificato dallo stesso governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, secondo il quale ci sono «rinnovati segnali di interesse per i mercati italiani, incluso quello dei titoli di Stato». In effetti quello del ritorno degli investitori esteri sul debito pubblico italiano è un segnale importante: la quota di debito in mano a soggetti esteri è risalita attorno a 663 miliardi su poco più di 2 mila miliardi totali.
Milano tra Soros e i russi
Per tornare alla Borsa, la stima degli investimenti in azioni solo da parte americana è di circa 90 miliardi di euro in azioni: una cifra cresciuta del 70% nel 2013. Tra questi c’è il fondo del finanziere George Soros, Quantum Strategic Partners, che come prima mossa in Italia ha puntato 22 milioni di euro su Igd, l’immobiliare delle coop (che non a caso domani comincia un roadshow a New York). Poi ci sono gli investimenti in gruppi non quotati, per esempio nella moda e nel lusso: i cinesi di Shenzen Marisfrolg Fashion hanno rilevato Krizia; il gruppo americano Haworth ha preso il controllo di Poltrona Frau, il colosso Blackstone (sempre Usa) ha acquistato il 20% di Versace. La Cina in particolare, dopo la visita del presidente Xi Jinping in Europa, si sta muovendo con particolare attenzione proprio su due Paesi manufatturieri come Germania e Italia (ma anche sulla Francia), come sottolineava un’analisi del Wall Street Journal di due giorni fa. Nonostante le fibrillazioni in Ucraina, i russi del colosso petrolifero Rosneft non si sono tirati indietro dall’investire 500 milioni per il 13% di Pirelli. Addirittura lo stesso braccio finanziario della Cassa depositi e prestiti, il Fondo strategico italiano — nato per sostenere l’italianità delle imprese — ha stretto a fine 2013 un’alleanza con il fondo sovrano del Kuwait, Kia, per una società in comune da 2 miliardi di euro (500 milioni messi dagli arabi) che custodirà le partecipazioni del Fondo stesso in Ansaldo Energia, Metroweb, Hera, Kedrion, Sia, Valvitalia. Altre operazioni potrebbero essere messe in cantiere, secondo vari osservatori, sulle infrastrutture turistiche come l’immobiliare alberghiero, anche in un’ottica di Expo.
Focus sulle aziende di Stato
Insomma l’Italia è tornata a piacere: «Sta facendo meglio, ma non ancora bene», recita un recente rapporto del Credit Suisse. Il Pil è visto in crescita, sia pure di poco (0,5-0,75% le attese per il 2014, e verso l’1% per l’anno prossimo); le quotazioni di mercato sono ancora basse; c’è una forte componente di export che traina almeno una parte dell’economia; il cambio politico con l’arrivo di Matteo Renzi viene visto con grande favore, così come le possibili prossime mosse della Banca centrale europea a sostegno dei prezzi (dati i rischi di deflazione) con azioni non convenzionali come l’acquisto di titoli di Stato, sull’esempio della Federal Reserve in Usa.
Ma l’acquisto di azioni a Piazza Affari potrebbe essere solo un assaggio in vista di quella che si annuncia come la più grande operazione di privatizzazione degli ultimi anni. Lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, non ha nascosto l’ambizione del governo di volere mettersi in scia: «L’attenzione del mercato è crescente e va sfruttata nel migliore dei modi», ha detto giorni fa a Cernobbio. L’obiettivo delle privatizzazioni è duplice: «Accrescere l’efficienza delle imprese privatizzate e ovviamente ridurre in modo consistente il debito pubblico». Il primo banco di prova potrebbero essere le Poste: «È stato avviato il processo di privatizzazione, è una sfida importante per il Paese e verrà sottoposta al vaglio del mercato».
Gran parte della fortuna politica del governo si gioca sul successo delle vendite di Stato: l’incasso per il Tesoro potrebbe arrivare a oltre 15 miliardi da Poste (il cui 40% da solo vale 4-5 miliardi), Fincantieri, Enac, Cdp Reti, Sace, Grandi Stazioni, StMicroelectronics. Per i fondi si tratta di comprare a prezzi favorevoli, per le banche d’affari di guadagnare sugli incarichi di vendita. Sempre che il mercato non giri in negativo e che la fiducia degli investitori non venga meno per la mancanza delle riforme sulle quali aspettano al varco il governo: «L’Italia potrebbe senza dubbio essere più competitiva e crescere più rapidamente», mette nero su bianco il Credit Suisse, «se verranno attuate le riforme specifiche».
Fabrizio Massaro
apitali esteri a caccia d’Italia Prossima tappa le privatizzazioni
Fondi Usa, arabi e cinesi puntano su Borsa e made in Italy Nel mirino banche, industria manifatturiera, moda e turismo
MILANO — L’ultima mossa è stata dei cinesi: la Banca centrale di Pechino ha messo sul piatto 2,1 miliardi per comprare il 2% di Eni ed Enel. Un segnale di fiducia nell’Italia, sia sotto il profilo industriale sia di quello delle relazioni politiche, essendo due colossi controllati dal Tesoro. Ma a Piazza Affari in questo periodo la fanno da padrone gli americani.
Solo ieri BlackRock, il più grande investitore al mondo con 4.300 miliardi di dollari in gestione, ha reso noto il suo ingresso nel Banco Popolare con l’1,3% dopo aver preso quote importanti in Unicredit (5%), Intesa Sanpaolo (5%) e Montepaschi (8,5%). Sono investimenti finanziari per definizione, trattandosi di fondi d’investimento, anche se tradizionalmente operatori di lungo periodo e non raider mordi-e-fuggi. Ma sono anche la parte più visibile di un ritorno dei capitali esteri in Italia dopo la grande fuga del 2011-2012 causata dalla crisi del debito sovrano e dalle convulsioni dell’euro. Un ritorno certificato dallo stesso governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, secondo il quale ci sono «rinnovati segnali di interesse per i mercati italiani, incluso quello dei titoli di Stato». In effetti quello del ritorno degli investitori esteri sul debito pubblico italiano è un segnale importante: la quota di debito in mano a soggetti esteri è risalita attorno a 663 miliardi su poco più di 2 mila miliardi totali.
Milano tra Soros e i russi
Per tornare alla Borsa, la stima degli investimenti in azioni solo da parte americana è di circa 90 miliardi di euro in azioni: una cifra cresciuta del 70% nel 2013. Tra questi c’è il fondo del finanziere George Soros, Quantum Strategic Partners, che come prima mossa in Italia ha puntato 22 milioni di euro su Igd, l’immobiliare delle coop (che non a caso domani comincia un roadshow a New York). Poi ci sono gli investimenti in gruppi non quotati, per esempio nella moda e nel lusso: i cinesi di Shenzen Marisfrolg Fashion hanno rilevato Krizia; il gruppo americano Haworth ha preso il controllo di Poltrona Frau, il colosso Blackstone (sempre Usa) ha acquistato il 20% di Versace. La Cina in particolare, dopo la visita del presidente Xi Jinping in Europa, si sta muovendo con particolare attenzione proprio su due Paesi manufatturieri come Germania e Italia (ma anche sulla Francia), come sottolineava un’analisi del Wall Street Journal di due giorni fa. Nonostante le fibrillazioni in Ucraina, i russi del colosso petrolifero Rosneft non si sono tirati indietro dall’investire 500 milioni per il 13% di Pirelli. Addirittura lo stesso braccio finanziario della Cassa depositi e prestiti, il Fondo strategico italiano — nato per sostenere l’italianità delle imprese — ha stretto a fine 2013 un’alleanza con il fondo sovrano del Kuwait, Kia, per una società in comune da 2 miliardi di euro (500 milioni messi dagli arabi) che custodirà le partecipazioni del Fondo stesso in Ansaldo Energia, Metroweb, Hera, Kedrion, Sia, Valvitalia. Altre operazioni potrebbero essere messe in cantiere, secondo vari osservatori, sulle infrastrutture turistiche come l’immobiliare alberghiero, anche in un’ottica di Expo.
Focus sulle aziende di Stato
Insomma l’Italia è tornata a piacere: «Sta facendo meglio, ma non ancora bene», recita un recente rapporto del Credit Suisse. Il Pil è visto in crescita, sia pure di poco (0,5-0,75% le attese per il 2014, e verso l’1% per l’anno prossimo); le quotazioni di mercato sono ancora basse; c’è una forte componente di export che traina almeno una parte dell’economia; il cambio politico con l’arrivo di Matteo Renzi viene visto con grande favore, così come le possibili prossime mosse della Banca centrale europea a sostegno dei prezzi (dati i rischi di deflazione) con azioni non convenzionali come l’acquisto di titoli di Stato, sull’esempio della Federal Reserve in Usa.
Ma l’acquisto di azioni a Piazza Affari potrebbe essere solo un assaggio in vista di quella che si annuncia come la più grande operazione di privatizzazione degli ultimi anni. Lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, non ha nascosto l’ambizione del governo di volere mettersi in scia: «L’attenzione del mercato è crescente e va sfruttata nel migliore dei modi», ha detto giorni fa a Cernobbio. L’obiettivo delle privatizzazioni è duplice: «Accrescere l’efficienza delle imprese privatizzate e ovviamente ridurre in modo consistente il debito pubblico». Il primo banco di prova potrebbero essere le Poste: «È stato avviato il processo di privatizzazione, è una sfida importante per il Paese e verrà sottoposta al vaglio del mercato».
Gran parte della fortuna politica del governo si gioca sul successo delle vendite di Stato: l’incasso per il Tesoro potrebbe arrivare a oltre 15 miliardi da Poste (il cui 40% da solo vale 4-5 miliardi), Fincantieri, Enac, Cdp Reti, Sace, Grandi Stazioni, StMicroelectronics. Per i fondi si tratta di comprare a prezzi favorevoli, per le banche d’affari di guadagnare sugli incarichi di vendita. Sempre che il mercato non giri in negativo e che la fiducia degli investitori non venga meno per la mancanza delle riforme sulle quali aspettano al varco il governo: «L’Italia potrebbe senza dubbio essere più competitiva e crescere più rapidamente», mette nero su bianco il Credit Suisse, «se verranno attuate le riforme specifiche».