Marco Ferrando, Il Sole 24 Ore 29/3/2014, 29 marzo 2014
INTESA SVALUTA, DIVIDENDO AI SOCI
«Siamo la banca più forte in Europa per capitale e liquidità». Come un mantra, il ceo Carlo Messina ieri prima davanti agli analisti e poi alla stampa non si è stancato di ripetere il concetto che sta alla base del "suo" nuovo piano industriale, un progetto che guarda al 2017 e che punta a trasformare la solidità attuale – il Common equity richiesto da Basilea 3 è già al 12,3% – in cedole per (almeno) dieci miliardi in quattro anni, facendo di Intesa Sanpaolo una «cash dividend machine», una macchina da dividendi.
Nei panni di cfo, Messina dopo il 2006 aveva lavorato al fianco di Corrado Passera ai due primi piani industriali post-fusione tra Intesa e Sanpaolo; Enrico Cucchiani (in banca come dg fino a lunedì) aveva ritenuto inutile pensarne uno nuovo vista l’alta volatilità dei mercati in tempi di burrasca, ora Messina – promosso a consigliere delegato – ha disegnato un percorso che punta a completare l’integrazione tra le due banche per sfruttare tutte le potenzialità di crescita ancora inespresse, soprattutto nelle attività – risparmio gestito e assicurazioni – dove le sovrapposizioni sono ancora evidenti.
Punto di partenza per il piano, un bilancio 2013 chiuso in rosso per 4,55 miliardi dopo svalutazioni sugli avviamenti per 5,8 miliardi e stanziamenti sui rischi creditizi per 7,13 miliardi (la copertura sui deteriorati è al 46%), solo in parte compensati dai 2,55 miliardi di plusvalenze sulle quote di Banca d’Italia. Confermata, come da previsioni, la cedola di cinque centesimi dello scorso anno, primo passo per una crescita della redditività decisamente ambiziosa: il piano, infatti, punta a un miliardo di dividendi per quest’anno, per poi salire a 2 nel 2015 e a 3 nel 2016. Nel 2017 si prevedono 4 miliardi di dividendi, e in totale fanno dieci, a cui però «potrebbero aggiungersi gli 8 miliardi del buffer di capitale» di cui la banca si è dotata per affrontare senza patemi gli esami Bce e che un domani potrebbero tornare utili per acquisizioni.
Ispirato alla redditività sostenibile e all’utilizzo efficiente di capitale e liquidità, il piano – apprezzato dalla Borsa, dove Intesa ieri ha chiuso a +3,53% – si regge su quattro pilastri: la valorizzazione del business esistente, la cessione di asset non core o deteriorati, il coinvolgimento delle persone e l’individuazione di nuovi motori di crescita. È qui che ci sono le novità più significative: dando per probabile uno scenario a tassi zero per tutta la durata del piano, la road map tracciata da Messina in termini di redditività prevede contributi scarsi dal margine d’interesse – anche se in agenda ci sono nuovi impieghi per 170 miliardi – e molto elevati dalle commissioni; in quest’ottica si spiega la scelta di creare un polo per il private banking, un altro per l’asset management e un terzo per le assicurazioni (si veda il pezzo qui sotto). Ma è sempre la spinta alle commissioni a ispirare il varo della Banca 5, altra novità che vedrà 3mila gestori concentrati su cinque milioni di clienti, cui verrà offerto un carnet di cinque servizi specifici, dalle carte alle assicurazioni. Un’azione, questa, che favorirà la ricollocazione interna di buona parte dei 4.500 lavoratori in eccesso (nel piano non si parla di esuberi) e che passerà anche attraverso l’erogazione di nuovi servizi in filiale o sul web, dove si potranno avere consulenze immobiliari o comprare viaggi e biglietti; sempre per quanto riguarda le filiali, si punta a 800 chiusure entro il 2017, portando la rete a 3.300 sportelli, riuniti sotto 6 sole banche rete e non più sotto le attuali 17.
Confermata l’intenzione di «vendere tutte le partecipazioni entro il 2017», ha detto Messina, facendo riferimento a partite come Alitalia, Telco, Rcs. L’intenzione dunque è di dismettere il prima possibile, non a caso questi asset sono stati collocati in un portafoglio chiuso, una sorta di bad bank interna, da 46 miliardi dove figurano anche 27 miliardi di sofferenze.