Valeria Di Corrado, Il Tempo 29/3/2014, 29 marzo 2014
«IO, CARCERATO SFRUTTATO E FINALMENTE RIMBORSATO»
«È stata una gravidanza da elefante, ma finalmente, dopo otto anni di attesa, ho ottenuto giustizia». Gaddo Ferrari, 74 anni, ex detenuto nel carcere romano di Rebibbia, ha vinto in appello una causa civile contro il ministero della Giustizia. Il dicastero è stato condannato a pagargli circa 10 mila euro di arretrati per l’attività di giardiniere svolta all’interno del penitenziario durante il periodo in cui vi era recluso per scontare la sua pena. La sezione lavoro della Corte d’appello di Roma ha riformato la sentenza di primo grado, riconoscendo che i compensi con cui era stata remunerata la sua prestazione lavorativa erano fermi ai minimi sindacali in vigore nel lontano 1993. «Non ci speravo - confessa Ferrari - perché in Italia le cose vanno bene solo per chi non ne ha bisogno. La giustizia non sempre è giusta. Per giunta, in questo caso, la materia era delicata: è stato svelato che il ministero della Giustizia non tutelava i diritti dei detenuti». Originario del modenese, da quando è stato ristretto nella casa circondariale di Rebibbia, non ha più lasciato Roma. Ora l’ex detenuto vive con la pensione minima e i 9.633 euro che gli dovrà pagare l’amministrazione, se deciderà di non ricorrere a una pronuncia della Corte di Cassazione, rappresentano un «bel regalo di Natale e una grandissima soddisfazione». «Dal primo novembre 2002 al 31 luglio 2006 mi sono preso cura degli spazi verdi all’interno del carcere - racconta Ferrari - facevo giardinaggio e mi occupavo dell’orto, in cui coltivavo pomodori e peperoni. Ho ereditato il pollice verde: mio padre e mio nonno erano agronomi».
Nella stessa sentenza, i giudici hanno accolto anche l’appello di un altro ex detenuto addetto alla lavanderia della casa di reclusione di Civitavecchia da gennaio 2007 a maggio 2010. Nel suo caso il ministero della Giustizia è stato condannato a pagargli 5.713 euro, «come differenza di retribuzione, mensilità aggiuntive, ferie, rol e indennità di fine rapporto». «Tutte le circostanze esposte da ciascuno dei ricorrenti - si legge nella sentenza - trovano riscontro nelle copie dei cosiddetti estratti mercede e nei cedolini paga», dal dicastero mai «contestati in ordine alla loro correttezza». «Si tratta di un riconoscimento che fa ben sperare - spiega Marco Tavernese, legale dei due ex detenuti - soprattutto perché in altre 40 cause simili, il giudice di primo grado (sempre lo stesso) si è pronunciato a favore del Ministero, che da circa 20 anni omette di aggiornare l’importo delle mercedi corrisposte ai detenuti-lavoratori. In alcuni casi li ha persino condannati a pagare le spese legali. Speriamo costituisca un precedente per le altre sentenze impugnate, le cui udienze sono fissate nei prossimi mesi».
L’articolo 22 della legge sull’ordinamento penitenziario (la n.354 del 1975) stabilisce che la remunerazione del lavoro carcerario non sia inferiore ai due terzi dei contratti collettivi dei lavoratori esterni. Le tabelle andrebbero aggiornate ogni due anni da un’apposita commissione ministeriale, ma dal 1993 la commissione non si è più riunita. «I detenuti hanno diritto alle stesse garanzie di tutti gli altri lavoratori - ha commentato il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - È stata finalmente sanata una disparità di trattamento insopportabile data, a parità di lavoro prestato, solo dalla limitazione della libertà personale».