Nicola Porro, Il Giornale 29/3/2014, 29 marzo 2014
LA GARA A FINANZIARE I DE BENEDETTI
Partiamo dalle cose serie. E cioè dai pettegolezzi romani sulle nomine nelle grandi aziende partecipate dallo Stato. Il barometro volge al brutto per gli attuali amministratori. Al bello invece per i loro stipendi, che non verranno toccati da Cottareli&co. Il tandem Renzi-Padoan avrebbe in animo di far fuori tutti (su Finmeccanica il discorso è più complicato, non tanto per il suo ad, ma per il suo presidente). Il motivo è semplice: o tutti dentro o tutti fuori. Ma andiamo per ordine, poiché stiamo facendo un po’ di casino.
1.Renzi vuole manager che gli debbano la nomina. 2. Renzi ha la necessità di dare un segnale di discontinuità. 3. Come per la composizione prima della direzione del suo partito e poi del suo governo, è pronto a fare molti compromessi con le altre forze politiche. Ma sono necessarie facce nuove. 4. Il più sveglio di tutti è un signore che viene dalle grandi multinazionali e dal privato come Giuseppe Recchi che complice la conoscenza del mercato (e qualcuno pensa ad una recente cena con Alberto Nagel) si è tirato fuori seccamente dalla nuova disfida politica e romana e ha accettato di andare a presiedere Telecom.
Ma c’è un vero e grande sconfitto: Confindustria. Il governo Renzi rischia di fare secca tutta la prima fila di manager a cui, riveritissimi, vengono riservate le poltroncine nobili delle relazioni primaverili di Squinzi. Confindustria oggi è di fatto governata dalle partecipazioni statali. Qualche maligno a Roma ha pure messo in relazione (ma la Zuppa non ci crede) il malumore di Squinzi e del suo vice Regina nei confronti delle prime mosse del governo a una forma di pressione per riconfermare i suoi azionisti. Roba da pazzi. Mica siamo al mercato delle vacche. E Squinzi non si presta certo a questi giochetti. Come si sa il vento del pettegolezzo è però micidiale. E in effetti Aurelio Regina, più che un imprenditore trattasi di un cacciatore di teste, certo sa valutare, da tecnico, il cambio di vento ministeriale.
Su una cosa, e ora non parliamo di pettegolezzi, si deve però riflettere. I prossimi azionisti forti di Confindustria (Eni, Enel, Poste, Ferrovie e via cantando we are happy) nei prossimi mesi saranno rappresentati da nuovi manager nominati dal governo Renzi. E sarà dunque molto interessante il modo in cui Squinzi eserciterà la sua dura e intransigente linea di critica nei confronti di un governo che attraverso le sue partecipate è azionista di rilievo proprio di Confindustria. Oggi un socio privato come Pirelli contribuisce ai costi di viale dell’Astronomia per meno di 1 milione di euro, un big player come Fiat ha sbattuto la porta, una multinazionale tascabile come Amplifon ha chiuso in tempi non sospetti i suoi rubinetti all’Assolombarda. Insomma, coloro che storcevano il naso per l’ingresso in massa dei soggetti pubblici in Confindustria proprio nel momento in cui i privati scappavano, forse qualche ragione l’avevano.
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Andatevela a vedere quella puntata di Otto e mezzo di Lilli Gruber. È del sei dicembre del 2012 (http://www.la7.it/otto-e-mezzo/video/carlo-de-benedetti-cambiare-si-puo-06-12-2012-90275). Alla prima domanda riguardo alla cessione delle sue aziende ai tre figli, l’ingegner De Bendetti dice: «Nell’autunno della propria vita, bisogna cercare di cogliere le gioie e una gioia è donare». Applausi a scena aperta. Forse già all’epoca erano meno entusiasti i tre figli che si sono presi un bel pacco. Quanto ci sarebbe piaciuto un Ingegnere alla Jep Gambardella della Grande Bellezza, che dopo aver conquistato la dolente Ferrari scappando dal suo appartamento ammette: «La più sorprendente scoperta che ho fatto subito dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare». Altro che donare, viva l’egoismo meritato della vecchiaia.
Forza ingegnere, ci dica la verità: non le andava più. Solo qualche anno prima e solo grazie alle sue buone relazioni, il gruppo aveva preso finanziamenti a destra e manca. Ieri sul Giornale Marcello Zacchè ci ricordava dei prestiti della Cassa depositi e prestiti. Per difetto. I numeri sono giusti, ma riguardano solo Sorgenia. La cassa depositi e prestiti nel 2007, un’era fa, aveva concesso fidi per 150 milioni. Oggi tirati per 115. Di cui 37, come ha scritto ieri Zacchè sono arrivati a Sorgenia, ma i restanti 80 sono andati a Tirreno Power. Che non è consolidata nel gruppo Cir (ne controlla però una fetta rilevante del 39 per cento) ma certo legata. E poi babbo Natale ci deve spiegare come mai la Cdp nel 2007 si è messa a dare finanziamenti a Tirreno Power, in tandem con Sorgenia. Perché era una società, passateci la semplificazione, riconducibile all’ingegnere De Benedetti, quello che dona? O perché nel mucchio di imprese italiane era stata pescata per il suo rilievo strategico? Babbo Natale facci il piacere, mandaci una letterina di risposta a Natale. Oppure fai come Jep, avendo tu superato i 65 anni, non perdere più tempo a fare cose che non mi va di fare. Tanto la risposta la intuiamo.
Resta un problemino non di poco conto che riguarda però la Cassa. Se il giocattolo regalato dall’Ing ai figli dovesse saltare e le banche ottenessero la trasformazione dei loro crediti in azioni, la Cassa diventerebbe, pro quota, azionista di Sorgenia e magari in un futuro di Tirreno Power (per ora i suoi impianti sono anche sotto sequestro). Con alcuni effetti paradossali: la Cassa si troverebbe in conflitto di interessi detenendo nel medesimo borsellino la distribuzione elettrica con Terna e i regalini elettrici dell’Ing Sorgenia e Tirreno Power. I vecchi amministratori della Cassa non hanno neanche pensato all’incresciosa circostanza per la quale il loro fondo di investimenti (gestito da Maurizio Tamagnini) non può per statuto investire in società in perdita, mentre la sua capogruppo, cioè la Cdp, si potrebbe trovare in pancia azioni di società praticamente fallite. Bel colpo. Abbiamo rifatto l’Iri. Anzi no, la Gepi. O l’Efim, Scegliete voi.