Domenico Cacopardo, ItaliaOggi 29/3/2014, 29 marzo 2014
IN 12 ANNI LA SPESA PUBBLICA A +46%, LA SANITÀ +61%, LE PENSIONI A +57%. E, NONOSTANTE I BLOCCHI, IL COSTO DEL LAVORO È SALITO DEL 33%
Abbiamo tra le mani una tabella, una semplice istruttiva tabella che esprime in modo sintetico il bilancio consolidato dello Stato (2000-2012). Si tratta di un documento molto istruttivo, poiché, con la l’inoppugnabile eloquenza dei numeri, ci dice più di quanto possono averci detto centinaia di puntate di Floris e Santoro, che Dio li abbia in gloria. Il totale delle uscite dello Stato è passato dai 549 miliardi del 2000 agli 801 del 2012 (45,7%), in barba a tutte le manovre, le mezze austerità annunciate e pagate care dai contribuenti. La crescita è stata costante con una significativa accelerazione durante il periodo berlusconiano 2001-2006, nel quale siamo passati da 615 a 748 miliardi. Benché si sia impegnato nei compiti a casa, anche con Monti la spesa è cresciuta.
Esaminiamo i quattro capitoli principali della spesa corrente: erogazioni per redditi da lavoro dipendente, acquisto di beni e servizi, prestazioni sociali in denaro e interessi passivi. Nonostante tutti i blocchi contrattuali, lo Stato, per i redditi da lavoro dipendente, è passato dai 124 miliardi del 2000 ai 165 del 2012. Non rispondono, quindi, al vero le dichiarazioni sul contenimento di questa voce. Ciò vuol dire che la dinamica salariale s’è comunque sviluppata secondo una curva determinata dalla contrattualistica in essere. Ovviamente senza alcun rapporto con la qualità e la quantità dell’offerta per il cittadino.
Le prestazioni sociali in denaro (sanitarie, previdenziali e assistenziali) passano dai 263 miliardi del 2000 ai 422 del 2012 (la maggiore crescita tra le voci in esame). Le prestazioni sanitarie sono cresciute del 61%, le pensioni del 57% e l’assistenza (cassa integrazione e pensioni sociali) del 79%. Con buona pace dei vari ministri della sanità, del lavoro e dell’economia.
Per la voce più importante delle uscite, le prestazioni sanitarie, ciò significa che il meccanismo è incontrollabile: le regioni, che dispongono del rubinetto della spesa, non intendono coordinare le loro politiche con le esigenze del Paese. E le agitazioni che sorgono nel territorio per le chiusure degli ospedali marginali dovrebbero essere rivolte agli amministratori dei capoluoghi regionali perché, evidentemente, non tagliano per difendere un fiume di uscite di carattere clientelare o illegale. Finché il Tesoro non prenderà la strada dei costi standard, impedendo a una regione di pagare la siringa 10 volte di più della regione virtuosa, non si uscirà dalla spirale.
La più stabile delle voci è quella che riguarda gli interessi passivi: si è evoluta da 74 miliardi a 86 (+15%).
Resta l’ultima voce: acquisti di beni e servizi, gli appalti cioè, passati da 82 miliardi del 2000 a 132 (+53%). Si tratta di un lordo, giacché lo stanziamento comprende l’Iva. Il numero ci consente una riflessione: non molte settimane fa, alcuni procuratori della Repubblica e il procuratore della Corte dei conti hanno annunciato la crescita del fenomeno corruttivo. Qualcuno ha azzardato una stima: 60 miliardi. Ciò significherebbe che il 45% dello stanziato finisce in tangenti. Un numero che non può corrispondere alla realtà e che ci induce a suggerire una maggiore prudenza nelle quantificazioni, per evitare un ulteriore e infondato sputtanamento del Paese. La recente nomina a commissario anticorruzione di Raffaele Cantone, un magistrato serio e preparato, uso a ragionare sui fatti e sugli atti, ci induce a ritenere che la stagione della grida manzoniane stia per esaurirsi a favore di una più attendibile fotografia della situazione.