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 2014  marzo 29 Sabato calendario

ARMANI: «IO E LO SPORT»

Giorgio Armani, ricorda quando il basket entrò per la prima volta nella sua vita?
«Da ragazzo, quando sia mio fratello che era il contrario di me, tanto era alto, che mia sorella cominciarono a giocarlo... mentre io presi altre strade».
Adesso il basket è tornato nella sua vita e sembra divertirla molto?
«Mi piace andare al palazzo, vedere le partite dal vivo, sentire l’entusiasmo del pubblico».
Che effetto le fa sentirsi chiamare re Giorgio anche dal pubblico del basket?
«Preferisco signor Armani perché trovo che non sia così scontato rimanere signore ed essere riconosciuto come tale, nell’intero arco della propria vita».
Chi la convinse ad investire per salvare la squadra di Milano?
«Eravamo main sponsor durante la gestione precedente e quando emersero seri problemi di natura economico-finanziaria, nessuno dei soci volle sostenere il rilancio del progetto rischiando quindi di far scivolare la società in un declino pericoloso. Fu allora che dovetti fare un passo in avanti».
Lo sa che i tifosi di Milan e Inter invidiano molto quelli del basket? Mai avuto tentazioni calcistiche viste anche la frequentazione che ha avuto per motivi pubblicitari con Shevchenko e Kakà?
«Il mondo del calcio è affascinante, ma troppo complicato ed ingombrante per pensare di entrarci senza esperienza. Alcuni calciatori sono diventati testimonial delle nostre campagne pubblicitarie grazie alla notorietà raggiunta con la loro professione, ma anche e soprattutto per la loro immagine pulita e seria, come nel caso di Kakà e Shevchenko. Ritengo comunque che Milan ed Inter, come noi, siano società attrezzate per superare i momenti difficili e rilanciarsi in percorsi vincenti».
Ma uno sportivo alla Balotelli le piace?
«I giovani ricchi di potenziale ed energia mi sono sempre simpatici purché alla fine il loro talento si riconduca ad una logica di gruppo senza individualismi e protagonismo sopra le righe».
Che cosa pensa dell’Inter finita in mano a un indonesiano come Thohir, che è pure un affezionato cliente del suo albergo?
«Penso che anche lui, come tutti gli imprenditori che investono e ci mettono la propria faccia, dovrà essere giudicato sulla base dei fatti e dei risultati che si verificheranno nel medio-lungo periodo».
A proposito di risultati, ha avuto ha mai avuto la tentazione di lasciare l’Olimpia proprio perché non arrivavano?
«Mai. Sono entrato nell’ Olimpia ben sapendo che avremmo dovuto attraversare una lunga via crucis, faticosa ma necessaria per raggiungere il successo. Non mi sono mai illuso di trovare scorciatoie favorevoli e quindi pur avendo vissuto momenti di delusione non mi sono mai fatto aggredire dallo sconforto e non ho mai perso la fiducia nei nostri mezzi. Certo qualche volta mi sono arrabbiato. E non poco...».
Assorbita la delusione di Coppa Italia?
«Grazie all’immediata reazione della squadra non ho avuto il tempo di pensarci più di tanto».
L’Eurolega è un grande sogno. Siete ai playoff dopo 17 anni, le Final Four che tra l’altro si giocheranno a Milano, sono raggiungibili?
«Conquistare le Final Four, ospitate a Milano, sarebbe un premio importante per i nostri tifosi che meritano sempre il massimo».
Parla come un esperto.
«Il basket mi piace anche se andare al Forum dopo un giorno di lavoro è faticoso. So di avere sempre i riflettori puntati addosso, come se fossi in campo anch’io. Devo stare attento a come esulto, a come mi muovo».
Potrebbe prendere esempio da Adriano Galliani uno dei vostri tifosi più affezionati.
«Lui è davvero bravissimo. Incredibile. Soffre per noi come soffro io quando le cose non vanno come dovrebbero».
Che effetto le fa aver restituito a Milano l’amore per il basket con il palazzo spesso pieno.
«Merito della società che in questi anni è riuscita coerentemente a mantenere e perseguire gli obiettivi prefissati nel medio-lungo periodo, senza farsi deviare e confondere dai risultati agonistici non sempre gratificanti».
Merito anche della squadra che è cresciuta e cambiata.
«In quest’ultima stagione affronta ogni partita con abnegazione e massimo impegno, senza guardarsi troppo allo specchio: questo atteggiamento serio ed autentico ha riacceso la passione e l’affetto dei nostri tifosi».
Dal punto di vista estetico che cosa cambierebbe nel basket?
«Le luci. Le terrei soltanto sul parquet, sul gioco, lasciando al buio tutto il resto».
Nei suoi viaggi in America avrà assistito anche a delle partite Nba?
«Due, tre volte. Mi sono divertito, ma il problema è che gli americani mangiano sempre, anche quando guardano lo sport e c’era tutto quell’odore di hot dog attorno...».
A proposito di eleganza la squadra italiana a Londra 2012 è stata la più ammirata con le vostre divise. Di chi è stata l’idea di scrivere le strofe dell’inno all’interno?
«E’ stata una scelta voluta e condivisa con tutti i miei collaboratori dell’ ufficio stile, primo fra tutti Leo Dell’Orco. Il sentimento patriottico unisce sempre tutti senza distinzione».
Anche a Sochi si è vista un’Italia griffata Armani. Ha seguito le Olimpiadi?
«Sì e non solo perchè siamo sponsor della nazionale italiana. I giochi olimpici sono una manifestazione sportiva di dimensione planetaria, ricca di fascino e di emozioni straordinarie».
L’Expo a Milano è un’occasione per tutta la città: ci crede davvero?
«Ci credo davvero confidando nel colpo di reni finale necessario per recuperare il ritardo accumulato ed andare a sfruttare al meglio questa grande opportunità».
Vi manca però una casa vostra. Il PalaArmani è ancora solo un’idea…
«Purtroppo la ristrutturazione del Palalido rispecchia lo stato di precarietà del nostro Paese dove la burocrazia è diventata un mostro ingovernabile che molte volte affossa il tutto. A noi non rimane che sorvegliare pazientemente, finora direi molto pazientemente, quanto sta accadendo».
E dopo la pazienza?
«Sono convinto che le ultime promesse del Comune e di Milano Sport possano concretizzarsi. Rimane chiaro che se nelle prossime settimane non dovessimo riscontrare l’avanzamento dei lavori, ovvero quanto promesso, dovremo optare irreversibilmente verso un’alternativa, questa volta, definitiva».
Ci racconti la sua squadra, partendo da coach Banchi.
«Coach Banchi è come ce lo aspettavamo: sta lavorando con passione e dedizione assoluta, è competente e molto intelligente e soprattutto riesce a motivare e stimolare nella giusta direzione tutti i giocatori grazie alla credibilità conquistata sulla base di comportamenti coerenti e trasparenti nel quotidiano. Dovessi indicare un testimonial del nuovo corso, non avrei dubbi nell’indicare Luca Banchi».
Poi Hackett.
«Daniel è l’ingranaggio che mancava per consentire a questa squadra di trovare quell’armonioso equilibrio che nello sport chiamano chimica. E’ tra l’altro un bravissimo ragazzo, semplice e dotato di una leadership naturale nel gruppo di lavoro».
Langford.
«Keith è un talento puro capace di accendere la partita in fase offensiva quando proprio ne hai bisogno a prescindere dalla resistenza degli avversari. E, quando vuole, sa anche difendere molto bene».
Moss.
«David è il nostro “bronzo di Riace”: è un ragazzo simpaticissimo e dal sorriso accattivante che maschera la sua grinta e la sua durezza, sempre leale, con la quale invece affronta il suo lavoro sia in allenamento che in partita».
E infine Gentile.
«Alessandro è il nostro capitano ed il nostro talento vero. Nonostante la giovane età ha già un curriculum da giocatore navigato e dimostra continuamente il suo attaccamento sincero e verace per Olimpia. Ha ancora un potenziale di crescita enorme».
La parola scudetto è diventata un’ossessione?
«E’ l’obiettivo sintesi di un’intera stagione e per noi milanesi che lo inseguiamo dal lontano 1996 è un sogno che è ora che si materializzi. Evitiamo però che questa lunga astinenza sfoci in un desiderio ossessivo».
Se davvero quest’anno vincerete qualcosa come festeggerà?
«Non ci voglio pensare per mille motivi, anche scaramantici, ma di una cosa sono sicuro e cioè che eventualmente, in caso di vittoria finale, gioirò per tutti coloro che durante questi 6 anni hanno lavorato duro per il traguardo finale e per tutti i veri tifosi dell’Olimpia che hanno saputo pazientare in modo encomiabile».