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 2014  marzo 29 Sabato calendario

UNA SVOLTA TARGATA CINA


Se giovedì 3 aprile la Bce darà il via libera agli acquisti di titoli di Stato dei Paesi di Eurolandia, così come sta facendo da lungo tempo la Federal Reserve per rilanciare l’economia, bisognerà ringraziare la Cina. Miracoli della globalizzazione. Lo scenario è cambiato improvvisamente martedì 25 marzo quando il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha dichiarato che «un piano di allentamento quantitativo non è fuori discussione», lasciando tutti a bocca aperta, un po’ come se ai vecchi tempi Stalin avesse detto che il comunismo è una buffonata.
Weidmann è da sempre il custode dell’ortodossia monetaria e nel 2012 era stato l’unico esponente del comitato direttivo della Bce a votare contro lo scudo anti spread voluto dal numero uno della Bce, Mario Draghi, scudo che comporta appunto l’acquisto da parte dell’Eurotower di titoli di Stato dei Paesi a rischio bancarotta in cambio dell’attuazione delle riforme imposte dalla Troika. Ma ora il capo della Bundesbank ha aperto alla possibilità di un piano di acquisti stile Fed, ovvero non condizionato all’attuazione delle riforme. Il giorno precedente era stato il governatore della Banca centrale finlandese, Erkki Liikanen, a preparare il terreno affermando che la Bce è pronta a «prendere ulteriori azioni decisive». Sembrava quasi una reazione all’esito delle elezioni municipali francesi, che ventiquattr’ore prima avevano visto l’affermazione del Front National di Marine Le Pen, partito che vuole l’uscita della Francia dall’euro.
Dall’inizio dell’anno i mercati si aspettano che l’Eurotower annunci qualche misura straordinaria per allontanare lo spettro della deflazione, ma nelle prime tre riunioni del 2014 il Comitato direttivo ha sempre lasciato le bocce ferme, limitandosi a monitorare la situazione.
La vittoria della Le Pen ha suonato il campanello d’allarme: c’è il rischio che alle elezioni dell’Europarlamento il 25 maggio i partiti anti euro abbiano un successo superiore alle attese. Logica vuole che gli europeisti facciano qualcosa per cercare di limitare i danni. Ma qui siamo nel campo della politica, mentre si sa che all’Eurotower e dintorni si vuole dare l’impressione che non si badi a queste piccolezze e le decisioni vengano prese analizzando freddamente i dati economici e finanziari. Ma anche su questo fronte lo scenario è cambiato radicalmente rispetto al mese scorso. Prima di tutto continuano ad arrivare segnali negativi sull’andamento dei prezzi al consumo: venerdì 28 si è scoperto che la Spagna è entrata in deflazione. A marzo l’indice è infatti sceso dello 0,2% su base annua. Come ha osservato Annalisa Piazza, strategist di Newedge, il dato «rappresenta il primo caso di deflazione dal 2009, quando l’indice dei prezzi al consumo venne trascinato al ribasso da un ampio declino dei prezzi delle commodity». Declino che in questo caso non c’è stato ed è quindi interamente dovuto alla debolezza della domanda interna causata dalle politiche di austerità (la disoccupazione è al 25,8%). Tanto per dire che chi parla di storia di successo della Spagna sta delirando. Ma si sa, la Germania e la Bundesbank in particolare non si sono mai preoccupate della ripresa dell’Europa mediterranea. Di certo ha suscitato maggiore attenzione un altro numero, uscito lo stesso giorno: secondo i dati preliminari delle sei regioni campione, in Germania l’inflazione ha frenato all’1% annuale a marzo, il minimo da tre anni, dall’1,2% di febbraio. Questo fa supporre che lunedì 31 l’indice dei prezzi al consumo di Eurolandia segnerà un agghiacciante +0,5%, lontanissimo dall’obiettivo della Bce di un’inflazione al 2%. Le prospettive, poi, non sono affatto incoraggianti. E qui spunta la variabile cinese. Pechino ha allargato la banda d’oscillazione dello yuan dall’1% al 2% con il chiaro obiettivo di svalutarlo più velocemente. L’ipotesi di un suo rafforzamento è infatti fuori discussione, poiché allo stato dei fatti è molto difficile che quest’anno venga raggiunto l’obiettivo di una crescita del pil del 7,5%, mentre nelle ultime settimane sono aumentati i timori per una possibile raffica di default delle società cinesi, al punto che si è scatenata la corsa agli sportelli di Jiangsu. Si tratta di una piccola banca rurale, ma è un brutto segnale. E, come ha sottolineato Dario Perkins, analista di Lombard Street Research, «la Germania è due volte più sensibile al rallentamento della Cina rispetto alle altre principali economie».
Come se non bastasse, fra i big di Eurolandia la Germania è il Paese con i rapporti economici più stretti con la Russia. Se la tensione con l’Ucraina si aggravasse e gli Usa attuassero sanzioni più pesanti, la Russia cadrebbe probabilmente in recessione. Il risultato è paradossale: fino a ieri Berlino si vantava della forza delle sue esportazioni, sottintendendo di potere anche fare a meno del resto di Eurolandia, che quindi non aveva nessuno potere negoziale per chiedere un ammorbidimento delle politiche di austerità. Con Cina e Russia in serie difficoltà, la benedizione si è trasformata in una maledizione: le economie dell’Europa mediterranea sono state bombardate e non possono certo assorbire le esportazioni, che rischiano di non trovare più uno sbocco a Mosca e a Pechino. A questo punto, alla Germania non resta che contemplare l’ipotesi di un allentamento quantitativo per restituire un minimo di vitalità a Paesi come l’Italia e la Spagna, rompendo il tabù dell’acquisto di titoli di Stato senza condizioni. Non è affatto detto che questo accada già giovedì 3 aprile. Più probabile che ci si limiti a un tasso sui depositi negativo per dissuadere le banche a parcheggiare i loro fondi in Bce e immetterli invece nel circuito del credito (a febbraio i prestiti al settore privato delle banche nell’Eurozona sono diminuiti del 2,2% su base annua). Se poi le bocce restassero ancora una volta ferme, di certo i mercati la prenderebbero molto male.