Ugo Bertone, Libero 29/3/2014, 29 marzo 2014
LO «JA» AL QUANTITATIVE EASING HA RIACCESO IL MERCATO DEI BOND
“Italia, i cieli sono più sereni”. Così titola lo studio che il Crédit Suisse ha pubblicato ieri mattina, prima che cominciasse la giornata finanziaria più fortunata per i titoli di Stato del Bel Paese e dei fratelli di sventura, dalla Spagna al Portogallo fino alla derelitta Grecia. Per non trascurare Piazza Affari, volata ai massimi dal maggio 2011. Ovvero prima dei sei mesi di fuoco che hanno portato il Bel Paese ad un passo dal default, quando nei bar si parlava di spread più che di calcio. Altri tempi.
Oggi, per nostra fortuna, nessuno s’interroga più sulla famigerata forbice tra i Btp e i titoli tedeschi, scivolata a 172 punti contro i quasi 600 del novembre 2011. Si mordono le mani quei risparmiatori che, all’epoca, rinunciarono a sottoscrivere i BtpItalia con un rendimento del 7 per cento. Ieri, all’asta di Btp a 5 e 10 anni il decennale si è fermato al 3,29%. Ben più avara l’emissione quinquennale, collocata all’1,88%, ai minimi di sempre grazie alla forte domanda degli stranieri, con una nota particolare per cinesi e giapponesi, a caccia in Europa di rendimenti per i loro fondi pensione.
Già, perché il sereno non splende in cielo solo per l’Italia. I titoli del Portogallo, Paese che fino a pochi mesi a veniva dato per spacciato dalla trojka e dintorni, ieri hanno varcato al ribasso la soglia del 4%, più o meno agli stessi livelli del’Australia che vanta una tripla A. E che dire della Grecia? Lo spread di Atene veleggia attorno a 520 punti (rendimento 6,76%). Per render l’idea nel 2012 i valori erano rispettivamente 3mila punti base di spread e il 35% di rendimento.
La bella stagione non riguarda solo il debito pubblico, ma anche i titoli delle aziende pubbliche e private. Con un’avvertenza. Fino all’inizio del 2013 solo le società con un rating alto, almeno una singola A, potevano avere speranza di spuntare condizioni decenti o, addirittura, di raccogliere quattrini a qualsiasi prezzo. L’opposto di oggi: una nota di JP Morgan rivela che la settimana scorsa gli investitori hanno comprato in Europa obbligazioni high yields (dalla B in giù) per 903 milioni di euro contro soli 517 milioni in titoli “sicuri”. Tra i primia fiutare l’aria, ancora una volta, Sergio Marchionne. La Fiat, negli ultimi mesi, ha raccolto più di 9 miliardi. In particolare, la settimana scorsa il Lingotto ha rastrellato 1,4 miliardi al 4,75 %, contro il 6,50% abbondante che veniva praticato pochi mesi fa.
Ma perché quest’improvvisa Bonanza? E quanto durerà? L’improvvisa accelerazione degli acquisti nell’ultima settimana ha una causa ben precisa: le parole del presidente della Bundesbank Jes Weidmann che all’improvviso, subito dopo l’esito del voto amministrativo francese, ha sorpreso i mercati dichiarando che “in linea di principio” la banca centrale tedesca non era contraria al quantitative easing, ovvero ad iniettare liquidità nell’area euro stremata dalla stretta imposta da Berlino. L’affondo del banchiere ha elettrizzato i mercati.
Ma c’è da fidarsi?Ci sono almeno tre ragioni per spiegare il cambio di rotta. Primo, agli occhi dei tedeschi il quantitative easing è un’operazione ardita ma ortodossa: si inietta liquidità per fronteggiare la caduta dell’inflazione ma non si regalano soldi ai soliti scellerati cittadini del Sud Europa. In altri termini, la Bce, se andrà avanti il programma, dovrà comprare titoli pubblici e privati (magari anche azioni) di tutta l’area euro, in quote proporzionali. E visto che la Germania è il Paese più forte, la Bce acquisterà per il 40% “carta” contro il 15-18% destinato all’Italia o il 2,5% per la povera Grecia. Viene salvaguardato, insomma, il principio di non far regali al Club Med. La seconda ragione è di carattere internazionale. Anche la Germania comincia a preoccuparsi per le conseguenze dell’euro forte, soprattutto perché cresce sui mercati la concorrenza dei suoi rivali più agguerriti, a partire dall’industria giapponese e coreana. Infine, ma non meno importante, Berlino teme gli effetti della crisi ucraina. Si è molto parlato della vulnerabilità della Germana alle forniture di gas da Mosca. Forse troppo, perché un eventuale, improbabile stop comporterebbe più problemi al venditore che al compratore. Ma, cosa che molti non sanno, oggi la Russia è il primo mercato europeo dell’auto, ovvero il più importante per l’industria tedesca delle quattro ruote dopo la Cina, che minaccia un calo delle vendite (finora non avvenuto). Una manovra in grado di ridurre il valore dell’euro diventa perciò necessaria per sostenere le vendite sul mercato russo.
Insomma, viele danke herr Weidmann. Finché dura.