Sergio Romano, Corriere della Sera 29/3/2014, 29 marzo 2014
QUANTI SONO I RUSSI DISPERSI NEGLI STATI EX SOVIETICI
Ha verosimilmente influito sull’azione di Mosca la dottrina militare della Federazione russa di cui si è poco parlato. Varata nel 2010, introduce nella politica di difesa il principio della protezione delle persone di etnia russa e dei russi che vivono al di fuori dei confini. L’ombrello protettivo si è ulteriormente ampliato con le nuove disposizioni che facilitano l’acquisizione della cittadinanza delle persone di etnia russa. Sono norme che possono aprire il varco a ulteriori sviluppi espansionisti.
Francesco Mezzalama
Roma
Caro Mezzalama,
Quando l’Unione Sovietica, nel dicembre del 1991, fu sostituita da una Comunità di Stati Indipendenti, non vi era membro della Federazione nata dopo la rivoluzione bolscevica in cui non abitasse da molti anni una consistente comunità russa. Molti, soprattutto nelle repubbliche dell’Asia Centrale e del Caucaso, preferirono trasferirsi rapidamente nelle regioni russe. Partirono fra i primi quelli che abitavano in Paesi dove le condizioni politiche erano pericolosamente instabili e il regime ancora più oppressivo e poliziesco di quello sovietico. Ma col passare del tempo la situazione finì per normalizzarsi e le partenze divennero sempre più rare. Oggi i russi sono il 5,5% dell’Uzbekistan (su una popolazione di circa 29 milioni), il 4% del Turkmenistan (5 milioni), l’1,1% del Tagikistan (8 milioni), l’1,4% dell’Azerbaigian (quasi 10 milioni), e un numero pressoché insignificante in Armenia. Ma sono il 23% del Kazakistan (18 milioni), il 17% dell’Ucraina (44 milioni), l’8,3% della Bielorussia (più di 8 milioni), il 5,8% della Moldova (3 milioni e 600.000). Ancora più interessante è la presenza russa nelle tre Repubbliche del Baltico, ormai entrate nella Nato e nell’Unione Europea. I russi rappresentano il 5,8% della Lituania (su una popolazione di 3 milioni e mezzo), il 24,6% dell’Estonia (un milione e 257.000), il 26,2% della Lettonia (2 milioni e 165.000).
Era difficile immaginare che lo Stato russo dimenticasse i propri connazionali. Quello che mi ha maggiormente colpito nel corso degli ultimi vent’anni fu, se mai, la grande prudenza di cui dette prova quando i cittadini russi del Baltico furono trattati come un corpo estraneo a cui occorreva fare capire, con una certa durezza, che i padroni erano cambiati. A Mosca sembrarono rendersi conto che certi atteggiamenti anti-russi, là dove lo stalinismo era stato particolarmente tirannico, erano nell’ordine delle cose e dovevano essere pazientemente accettati.
Non era difficile immaginare invece che le reazioni di Mosca sarebbero state molto diverse il giorno in cui il problema da affrontare fosse stato quello delle comunità russe in Crimea e nell’Ucraina Occidentale. Alcuni Paesi europei (quelli che volevano annettere l’Ucraina alla Nato) sembrano avere trattato la questione con superficiale leggerezza. Avrebbero dovuto chiedersi anzitutto se all’organizzazione militare dei Paesi atlantici convenisse avere fra i soci del club un Paese in cui vi sarebbe stata una quinta colonna russa forte di circa sei o sette milioni di persone. Se avessero riflettuto, si sarebbero resi conto che la migliore delle soluzioni possibili, anche e soprattutto per gli ucraini, sarebbe stata un’Ucraina neutrale, né russa né atlantica.