Luciano Canfora, Corriere della Sera 29/3/2014, 29 marzo 2014
PLATONE E LA GERMANIA DI TACITO PRECURSORI ILLUSTRI DELL’EUGENETICA
Francesco Paolo Casavola, il cui efficace compendio intitolato Bioetica (Salerno editrice, pagine 88, e 7,90) è da qualche tempo in libreria, oltre a racchiudere in sé tutta la necessaria preparazione filosofico-giuridica, è anche dal 2006 presidente del comitato nazionale per la bioetica. È un umanista che sa investirsi delle ragioni degli scienziati. Non trascurabile palestra in tal senso è stata per lui la presidenza dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana, dove da sempre si saldano e dialogano forze intellettuali facenti capo a tutti i rami del sapere.
Forse in nessun altro ambito come nella ricerca bioetica appare evidente che il confine tra progresso e conservatorismo non è di immediata né automatica evidenza. Né i comportamenti di movimenti politici connotati come progressisti producono ipso facto risultati conformi. Si pensi alla campagna per l’eliminazione dei disabili progettata dalla gloriosa e sempre osannata socialdemocrazia svedese negli anni Trenta e Quaranta. Luce è venuta, a questo proposito, dalla ricerca di Piero Colla, pubblicata quasi 15 anni or sono presso Carocci: Per la nazione e per la razza .
Mentre la cura dell’infanzia e della maternità era al centro dello Stato sociale svedese, partiva contemporaneamente un programma per la sterilizzazione di individui giudicati «portatori di un patrimonio genetico difettoso», o anche solo sospettati di essere inadatti a darsi cura della propria prole. La sorpresa fu che tali normative erano ancora in vigore, nella patria di elezione del socialismo «umano», ancora alla metà degli anni Settanta. Anche Winston Churchill aveva concepito in gioventù visioni eugenetiche siffatte, ma si può ben dire che il solo paragone possibile è con il dodicennio nazionalsocialista in Germania, dove il tentativo di creare davvero una «razza pura» portò ad esperimenti devastanti come il programma Lebensborn .
Eugenetica e pregiudizio intorno ad una ipotetica purezza razziale avevano, come è ben noto, in Germania un testo di riferimento, che divenne per Himmler, propugnatore di Lebensborn , il peso di un vangelo: il quarto capitolo della Germania di Tacito, là dove si parla dei Germani come «non contaminati da connubii con altre stirpi» e perciò «tra loro molto simili fisicamente». Scrive Tacito: «Il tipo fisico è uguale in tutti, nonostante si tratti di una popolazione così numerosa». Libro pericoloso, che innescò, tra Otto e Novecento, anche una aberrante disputa tra studiosi dell’Europa del Nord intorno alla maggior purezza degli svedesi ovvero dei popoli germanici del continente.
Né va dimenticato che pulsioni verso l’ingegneria genetica affiorarono da molto presto nei più diversi programmi di «riordino a progetto» della società (le cosiddette utopie): nella Città del sole di Campanella non meno che nelle isole del sole di Giambulo, di cui narra Diodoro Siculo nella Biblioteca storica . Ma l’archetipo è già nel V libro della Repubblica di Platone, dove il progetto dettagliato, comprese le norme sull’allattamento, riguardante la formazione di un ceto di «guardiani» è finalizzato al costituirsi di una «razza pura» (katharon genos ). Ginnastica e razzismo si son dati la mano negli esperimenti fascisti del Novecento.
È dunque l’eugenetica davvero agli antipodi della bioetica? Ma può lo sviluppo della ricerca scientifica venir frenato da presupposti etico-filosofici? Sorge la domanda: chi garantirà del valore assoluto di tali presupposti? Plausibilmente un accordo largamente accettato intorno al cosiddetto «diritto naturale». Anche in questo ambito i Greci avevano cercato di venire a capo dell’aporia, escogitando la nozione di «leggi non scritte la cui violazione provoca vergogna universalmente riconosciuta» (così Pericle nell’epitafio). Ma essi stessi sapevano che la legge non scritta poteva essere o diventare un’arma temibile in mano ad un ceto o ad un gruppo, magari protetto da un’aura sacrale, capace di imporsi come unico interprete di tale legge. Anche qui l’intuizione platonica, che ravvisa nella legge non scritta il «legame» tra norma vigente e norma che si affermerà in un prosieguo di tempo, è precorritrice. Precorre la moderna scoperta della storicità della legge e il fenomeno, oggi sotto gli occhi di tutti, della consapevolezza di nuovi diritti, prima non percepiti come tali. La polis — per usare una formula cara al Casavola — è la storicità della legge. Ma questa visione mette in crisi l’idea della oggettiva esistenza, e dunque della fissità dei diritti naturali.
Resta in piedi, e non è questione di facile soluzione, la domanda se non sia una violazione dell’etica frenare per motivi etici una ricerca potenzialmente capace di salvare in futuro molte vite. Come ognun vede, le domande che si affollano intorno alla bioetica hanno a che fare con una parola difficile e abusata, cioè con la nozione stessa di libertà: nozione controversa, tranne che per i banalizzatori. I quali (beati loro) hanno sempre le idee chiare!