Pierluigi Battista, Corriere della Sera 29/3/2014, 29 marzo 2014
LISTA TSIPRAS, L’ULTIMO PARADOSSO I LEGALITARI CONTRO LE REGOLE
Il «partito delle regole» chiede al presidente della Camera Boldrini di cambiare d’autorità le regole. La risposta, seppur addolcita da parole di sentita comprensione, non può che essere negativa. E la «Lista Tsipras», che si era mossa con la speranza di modificare le norme per la raccolta di firme necessarie alla presentazione del simbolo nelle elezioni europee, deve rassegnarsi all’ennesimo ostacolo che ne rende amara la ancora breve ma movimentatissima vita.
L’ingiustizia delle regole contestate dalla «Lista Tsipras» si poteva scoprire già da molto tempo, visto che risalgono al 1979. E sicuramente è una condizione micidiale quella che impone di accumulare per le liste nuove un numero di firme elevatissimo per ogni regione d’Italia, pena la scomparsa da un’intera circoscrizione. E infatti sono fioccate da oltre trent’anni proteste appassionate e indignate. Ma finora nessuno aveva pensato che fosse possibile appellarsi alle massime autorità istituzionali per cambiare quelle norme in piena corsa. Eppure gli intellettuali che hanno dato vita alla lista sono stati sino a qui molto chiari: le regole devono essere rispettate sempre; la loro violazione deve essere sanzionata nel modo più inflessibile. Non si possono cambiare in modo arbitrario, con provvedimenti ad hoc. E invece? E invece al primo contatto con la brutale concretezza della politica, l’intransigenza degli intellettuali si edulcora, la draconiana inflessibilità si fa un po’ flessibile. E persino la presidente Boldrini, che pure non è lontana ideologicamente dal profilo della lista, è costretta a non dare ascolto al pressante appello. Ha detto che solo una nuova legge permetterebbe di evitare l’ingiustizia suprema delle firme in eccesso. Ma che fino a che è vigente quella legge ingiusta, non si può che inchinarsi alla maestà della legge, senza eluderla e senza cercare sotterfugi per aggirarla in un modo che certo non sarebbe in linea con la purezza di chi ha proposto la formazione del raggruppamento in vista delle elezioni europee.
E così, il nome di Tsipras, il leader della sinistra greca critica nei confronti dell’austerità europea, che in Grecia ha mietuto tantissimi successi a scapito della sinistra tradizionale del Pasok, sembra non aver messo le ali a chi in Italia vorrebbe seguire le sue gesta. Prima gli scontri sulla formazione delle liste e in particolare quello che ha calamitato una parte dello scontento dopo l’adesione di Luca Casarini, poi la defezione di Andrea Camilleri, poi lo sgocciolio di rinunce che hanno molto indebolito l’immagine di compattezza della nuova lista. Ora la fatica a raccogliere le firme. Che, è vero, sono tante da raccogliere e mal distribuite, ma per un movimento che aspira a incassare un grande successo elettorale, e non certo un piccolo risultato con cifre inconsistenti, non dovrebbero essere un problema insuperabile. Resta invece la contraddizione tra una predicazione tutta centrata sul rispetto delle regole e la tentazione pratica di disfarsene, o anche solo di mostrare insofferenza per il loro carattere vincolante. Già la presentazione ufficiale al Teatro Valle, abusivamente occupato in barba alla legge, avrebbe dovuto essere sentita come una manifestazione di incoerenza tra i «giustizialisti» che esigono il rispetto assoluto e incondizionato della legge. Ma adesso, con l’appello addirittura a modificare con atto d’imperio le regole per la formazione delle liste, quella contraddizione assume addirittura un connotato macroscopico. Una contraddizione che è il frutto di una mancata fusione tra le due anime che hanno dato vita alla versione italiana della «Lista Tsipras». L’anima più «sociale» (e più tradizionalmente di sinistra classica), che si batte per la riduzione del disagio sociale conseguente a un’applicazione cieca delle politiche di austerità, e l’anima «giustizialista» di Moni Ovadia e Barbara Spinelli che ha fatto della sacralizzazione della «legalità» la sua stessa ragion d’essere. Anche per la formazione delle liste, la devozione alle «regole» ( e quindi una certa contrarietà alla presenza di Casarini, in passato non proprio indisponibile a civettare con l’«illegalità» dei «movimenti») ha creato dissapori e spaccature. Ma ora con la richiesta di cambiare le regole fuori tempo massimo, la contraddizione si fa più stridente. E neanche Laura Boldrini potrebbe essere in grado di sanarla .