Franco Giubilei, La Stampa 29/3/2014, 29 marzo 2014
FORBICI, PINZE E BISTURI COSÌ RINASCE UN FILM
Leggenda vuole che per Roma Citta Aperta Roberto Rossellini si sia servito di pezzi di pellicola raccattati come capitava, fra stock scaduti e materiale comprato al mercato nero, anche perché i tedeschi avevano da poco lasciato la città e i mezzi, più che scarsi, erano di fortuna. Quando gli esperti della Cineteca di Bologna si sono ritrovati fra le mani i resti del film recuperati dieci anni fa negli archivi della Cineteca Nazionale di Roma, la leggenda si è rivelata realtà: quelle «frattaglie», definizione impietosa da addetti ai lavori, erano il negativo originale dell’opera simbolo del Neorealismo italiano, tutta roba che si credeva perduta. Da lunedì l’edizione restaurata tornerà in sala, un momento centrale del Progetto Rossellini promosso dalle due cineteche e da Cinecittà Luce, che ha già visto rimettere a nuovo Stromboli terra di Dio, Viaggio in Italia, Germania anno zero, Paisà e India.
Un lavoro oscuro e di grandissima pazienza, il restauro di un film: pellicole corrotte dagli anni e dall’uso, a volte bruciate, o rabberciate con lo scotch dall’operatore quando si strappavano durante la proiezione, entrano in una clinica molto speciale per uscirne mesi più tardi (per Roma Città Aperta ce ne sono voluti sei), riportate all’antico splendore e a una versione digitale che le mette al riparo dagli insulti del tempo. E’ quel che succede al Laboratorio L’Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna, fra i migliori centri al mondo: dalle sue cure sono passati lungometraggi e comiche di Chaplin, film della Fondazione Scorsese da La Dolce Vita a Il Gattopardo a C’era Una Volta in America. Sempre qui ci si occupa dell’opera di Francesco Rosi: dopo Il Caso Mattei e Lucky Luciano, il prossimo sarà Il Bandito Giuliano. «Nel nostro centro lavorano un’ottantina fra dipendenti e collaboratori, tutta gente che formiamo noi e che, come nel caso del Gabinetto del Dottor Caligari, a volte si trova a lavorare con una parte di negativo, insieme a positivi di varia provenienza. Per i sottotitoli, in questo caso, ci siamo rifatti all’edizione in 16 millimetri», spiega Elena Tammaccaro, responsabile progetto restauro dell’Immagine ritrovata. Nonostante il ruolo determinante delle tecnologie digitali, i primi interventi restano nel solco di un tradizionalissimo taglio e cucito nel reparto «Riparazione pellicole», tappa iniziale del complesso make-up: «Siamo otto persone, tutte donne, il nostro è un lavoro manuale di grande pazienza – racconta Marianna De Sanctis, fra cumuli di «pizze» da cui occhieggiano etichette storiche come Senso o Germania Anno Zero -. Noi ci prendiamo cura degli originali, li ripariamo fisicamente, mettendoli in condizione di passare poi attraverso lo scanner senza danneggiarsi. Ci serviamo di forbici, pinze e bisturi chirurgici. Abbiamo anche l’attrezzatura per la duplicazione fotochimica, per realizzare nuove pellicole oltre alla versione digitale». In questa sala tutto è manuale, compresi i passafilm che permettono di osservare le pellicole fotogramma per fotogramma.
Le fasi successive sono meno romantiche ma altrettanto efficaci: una volta ripulito in lavatrice (già!), il film viene scannerizzato e va al restauro digitale, per eliminare le impurità dell’immagine e stabilizzarlo. 35 persone correggono righe, polveri, frammenti traballanti, variazioni di luci e densità delle immagini. «Lavoriamo sui difetti provocati dal tempo – aggiunge la responsabile -. Mediamente restauriamo oltre cento film all’anno, per un fatturato di circa 3,5 milioni». E siamo alla Colour Correction: a questo punto entrano in gioco i committenti del restauro, possibilmente col direttore della fotografia o qualcuno che si trovava sul set, fra filologia e artigianato d’essai. Si lavora su luce e colore, con l’obiettivo di avvicinarsi il più possibile alle condizioni iniziali. Naturalmente c’è anche l’audio, con la digitalizzazione del suono, la riduzione del rumore di fondo e la restituzione del sound originale. Fino al cuore tecno del laboratorio, una visione da 2001 Odissea nello Spazio: è una sala refrigerata ingombra di macchine e server, illuminata in bluette. E’ qui che riposano i film restaurati prima di riprendere la via dei cinema.