La Stampa 29/3/2014, 29 marzo 2014
STOLTENBERG SEGRETARIO NATO L’ITALIA RINUNCIA A FRATTINI
Da Anders Fogh Rasmussen a Jens Stoltenberg, da un liberalconservatore a un laburista, da un danese a un norvegese, da dentro a fuori dell’Ue. In quattro passaggi ecco la svolta per la Nato che trova senza fatica il suo nuovo segretario generale nel 55enne ex capo del governo di Oslo. Non si poteva essere indecisi nel momento più tosto per l’Alleanza dalla fine della Guerra fredda, mentre la Russia fa le grandi manovre al confine dell’Ucraina. Il consenso è stato raggiunto in fretta e ha bruciato gli altri pretendenti, fra cui l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini e il polacco Radoslaw Sikorski.
Lo ha voluto Barack Obama, «per la continuità», appoggiato dal britannico Cameron e dalla cancelliera Merkel. Favorevole anche il francese Hollande, lieto di vedere una vecchia conoscenza della famiglia socialista ottenere un incarico importante. L’Italia si è adeguata e il governo Renzi ha lasciato passare il norvegese anche per guadagnare punti con gli alleati. «Avrà tutto il nostro sostegno», ha scritto in un tweet il ministro degli Esteri, Federica Mogherini. Secondo la ricostruzione de la Stampa, martedì il presidente Usa aveva accennato l’intenzione già nella prima telefonata di saluto al premier. Era la fine della candidatura Frattini, che paga la corsa cominciata troppo presto e la girandola di Palazzo Chigi. Comunque sia, due anni fa la Casa Bianca lo sosteneva. Poi il clima è cambiato e il traguardo s’è fatto impossibile. Non ha mai trovato conferma l’indiscrezione di un tentativo italiano in extremis col nome di Enrico Letta. Anzi. «Sono onorato di esser stato il candidato del mio Paese alla Nato», ha commentato l’ex commissario Ue indicato da Berlusconi (che nel 2012 aveva lasciato il Pdl). Stoltenberg, che s’insedierà dal primo ottobre, si è rilevato troppo forte da sfidare, soprattutto nel momento in cui - per evitare troppi intrecci con le Europee - si è andati a cercare il capo della cittadella di Evere, comune a nord di Bruxelles, fuori dall’Ue. Il norvegese - uno che in giugno s’è inventato tassista durante la campagna elettorale perduta - ha dalla sua anche il consenso alle missioni in Afghanistan e Libia. Non lo ha frenato il fatto d’aver interloquito «a sua insaputa» coi servizi segreti sovietici sino al 1990 ed essere noto al Kgb col nome in codice di Steklov. Un dettaglio di peso sono gli acquisti di caccia F35 per sostituire gli F16. Cose che a Washington non dimenticano.
Di qui s’inizia la grande partita delle nomine europee. Fatta la Nato, entro novembre si deve scegliere il presidente della Commissione Ue, del Consiglio e l’alto rappresentante per gli Esteri. Un segretario socialista per l’Alleanza indebolisce le chance di Martin Schulz, perché se pure il voto di maggio fosse favorevole al Pse, i popolari (Merkel in testa) faranno pesare la nomina del norvegese. Analogamente mina le possibilità di outsider della premier danese Thorning-Schmidt e rilancia la lituana Grybauskaitë. L’Italia, in questo, è alla finestra «giacché ha già Draghi». Potrebbe puntare alla presidenza dell’Europarlamento: ma non risulta che nessuno ci stia lavorando sul serio.
[m. zat.]