Giovanni De Luna, La Stampa 29/3/2014, 29 marzo 2014
IL FILM DI VELTRONI SU BERLINGUER: 20 ANNI DI RITARDO
C’era una volta il popolo comunista con le sue bandiere rosse al vento e con il suo desiderio di rappresentare un’altra Italia, moralmente e politicamente migliore e diversa. Questo popolo si identificava nel segretario del Partito, Enrico Berlinguer. E questo popolo morì, l’11 giugno del 1984, quando morì il suo leader.
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lter Veltroni ci racconta tutto questo in un film («Quando c’era Berlinguer») molto coinvolgente. Anche chi non è mai stato iscritto al Pci subisce il fascino di quelle immagini; c’è il meglio della sinistra italiana e c’è il presagio della sua fine: quelle piazze, quei comizi e quei funerali sono piene di persone ognuna con la sua storia, la sua personalità, volti scarni e corpi magri di un’Italia che stava per scomparire. Una realtà totalmente novecentesca; non le folle anonime dei regimi totalitari, ma una comunità stretta da una prossimità fisica oltre che politica, che non ha niente da spartire con la folla virtuale del post Novecento.
Il film ha un incipit incisivo: studenti che alla domanda «chi era Berlinguer» rispondono in modo strampalato. Non sono degli sprovveduti e lo si vede dai loro sguardi autoironici. Ma questo rende la loro ignoranza ancora più stridente. Veltroni lancia una sfida a questa ignoranza e la perde, mancando quello che si potrebbe definire l’obbiettivo didattico del suo film. Troppi personaggi e troppi eventi sono dati per scontati (Santiago Carillo, George Marchais, lo strappo da Mosca, l’eurocomunismo...); la scelta di parlare del decennio 1974-1984 appiattisce la figura di Berlinguer sul «compromesso storico» e identifica nelle Brigate Rosse (attraverso la testimonianza di Franceschini) l’unica alternativa di sinistra al Pci. Ma sono soprattutto la struttura narrativa del film e il suo linguaggio ad ostacolarne l’efficacia didattica. Molte immagini sono inedite, alcune prese da video amatoriali, evitando la replica di un repertorio televisivo visto mille volte: quelle di Riva Trigoso, in cui Berlinguer, il giorno prima del comizio di Padova in cui morirà, incontra i compagni della locale sezione del Pci, ce lo mostrano fragile e provato, tanto che gli spettatori vorrebbero gridare di salvarlo, di evitargli quella tragica tappa finale. Ma sono immagini a cui non viene dato respiro, subordinate alla voce narrante (in cui ricorre spesso l’«io» di Veltroni) e soprattutto usate di contorno al vero pezzo forte del film che sono prevalentemente le testimonianze del vecchio gruppo dirigente comunista (Macaluso, Ingrao, Tortorella, Napolitano...). Interviste intense e partecipate, ma che riproducono una logica tutta interna alla storia del Pci.
Veltroni da tutti raccoglie lo stesso drastico giudizio: il Pci è finito con Berlinguer. Aldo Tortorella dice qualcosa di più: «Dopo la sua morte nominammo un segretario provvisorio, e avevamo sperato che sareste stati voi a proseguire il cammino di Enrico». «Voi», cioè una nuova generazione con Veltroni stesso, D’Alema, Fassino e gli altri. Non è andata così. Il Pci fu travolto dalla grande slavina che tra il 1992 e il 1994 portò al crollo del sistema politico della Prima Repubblica. Restò in piedi come PdS, subendo la pesante scissione di Rifondazione comunista. In questo contesto, gli eredi di Berlinguer diedero vita a un curioso paradosso: molti diventarono ministri, qualcuno anche presidente del Consiglio, raggiungendo l’apice della loro carriera politica proprio nel momento in cui le loro idee crollarono tra le macerie di un’Italia antropologicamente lontana da quella sognata da Berlinguer. Diventarono tutti ex comunisti con troppa disinvoltura, scavando un vuoto alle loro spalle. Quel vuoto oggi è stato riempito da Matteo Renzi, una figura che è totalmente estranea alla loro storia. In questo senso, l’amarezza e la sincerità che accompagnano la riflessione di Veltroni lasciano intuire, nel film, un sofferto tentativo di elaborazione del lutto che arriva, però, in ritardo di venti anni.